La cultura: da bene improduttivo a risorsa per lo sviluppo
"La cultura segnala la vitalità di un popolo e la sua capacità di competere a livello internazionale", ha affermato il Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, nel corso del Convegno su Beni Culturali, identità e crescita, tenuto a Roma a metà ottobre. "Oggi purtroppo queste qualità sono state messe in ombra da uno stato di disagio", denuncia Bazoli, segnalando il ruolo strategico della cultura e la necessità di intervenire su quattro direttrici: innanzi tutto serve una programmazione organica in ambito culturale e non in singole situazioni di crisi e degrado; secondo, bisogna mettere a confronto la nostra situazione con quella internazionale; terzo, è necessario utilizzare una logica di piccoli mondi, all'interno dei quali tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati, mettano in campo risorse disponibili, obiettivi ed interventi; infine, bisogna considerare il patrimonio culturale come una qualsiasi risorsa strategica.
Una moderna concezione, che tiene il passo con la crisi e con le mutevoli vicende del ciclo economico, guarda alla cultura come una qualsiasi risorsa strategica, al pari dell'energia e del petrolio, delle infrastrutture in trasporti, comunicazione ecc. Il patrimonio culturale, infatti, partecipa allo sviluppo economico del nostro Paese, perché produce esternalità in una serie di filiere (industria culturale, enogastronomia, artigianato e produzioni tipiche, edilizia di riqualificazione). Si possono quantificare tali esternalità in 170 mld di euro, pari al 13% del PIL, ed in termini occupazionali in 3,8 milioni di lavoratori.
Lo sviluppo del nostro patrimonio culturale può, dunque, contribuire alla creazione di occupazione, un tema chiave di questi tempi, dando una via di sbocco ai giovani in cerca di sviluppi lavorativi. Emerge dunque la necessità, sempre più pressante, di gestire questo patrimonio, ai fini anche della partecipazione all'economia del Paese. Correlata è la necessità anche di determinare i rapporti e le interconnessioni pubblico-privato nell'intento di valorizzare meglio questo patrimonio.
Correttamente si parla oggi di una "economia della cultura" che trova i suoi punti di forza negli ampi ritorni che una corretta gestione del patrimonio può avere in termini di generazione della ricchezza. Si pensi che un solo euro investito può avere un ritorno di 4 euro nel fatturato dell'indotto, che considera non solo i ritorni direttamente imputabili al bene culturale in oggetto, ma tutte le attività direttamente ed indirettamente connesse: dalla vasta industria dei souvenirs, alla ricezione alberghiera, alla ristorazione, ai manufatti locali a tutto ciò che è connesso con il settore del turismo.
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