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JFK l'uomo della speranza. Intervista a Furio Colombo

J.F. Kennedy: l' uomo della speranza che segnò un'epoca. Intervista al noto giornalista, scrittore e politico italiano Furio Colombo

J.F. Kennedy: l'uomo della speranza che segnò un'epoca. Intervista al noto giornalista, scrittore e politico italiano Furio Colombo.

Quale era il contesto economico e sociale degli Stati Uniti in cui è avvenuta l'elezione di John Fitzgerald Kennedy?

Io mi ricordo un paese bene assestato, diciamo che quelli che oggi si chiamano i fondamentali, allora si diceva semplicemente che il paese andava bene o male, erano buoni. La disoccupazione era di poco sopra il 5% e c'era ancora l'impulso della ricostruzione del dopoguerra, dal punto di vista del funzionamento del paese.
L'atmosfera era semmai di mancanza di novità, mancanza di innovazione, mancanza di uno slancio che andasse al di là della routine, ma la routine appariva abbastanza equilibrata e solida.


Se il 22 novembre 1963 il Presidente Kennedy non fosse scomparso tragicamente lasciando il mondo attonito e gli Stati Uniti orfani dell'uomo della speranza, che paese avrebbe costruito?

Regoliamoci sulla base di quello che sappiamo di lui: era un uomo attivo, dinamico, molto legato alla modernità, ai suoi coetanei attivi sia nel mondo dell'impresa che nel mondo della cultura, anzi con una certa prevalenza del mondo della cultura nel suo entourage personale. Comunque con un senso molto forte del che fare per domani e non tanto del come riparare questa cosa per oggi.

E ci avrebbe dato un'America, che comunque è stata più moderna per il passaggio di John Fitzgerald Kennedy, che sarebbe stata molto più moderna, sarebbe avanzata più rapidamente verso alcune conquiste sia di tipo psicologico morale, sia di tipo organizzativo e tecnico che invece hanno investito l'America molto più tardi.

Per esempio, probabilmente, sarebbe rimasto non solo intatto, ma più intenso anche il programma spaziale e ci si sarebbe avvicinati più rapidamente all'ingresso del paese nell'informatica.

Un punto che non trascurerei e che forse avrebbe cambiato più di ogni altro l'America, ci viene illustrato dal primo giorno dell'insediamento del Presidente. Quel giorno era presente Robert Frost come poeta inaugurale. Ricordo ancora il senso di panico e sostegno intorno a lui per il fatto che aveva perso la poesia che avrebbe dovuto leggere e come ne abbia improvvisata un'altra, nel giorno, nell'ora e nel momento in cui toccava a lui, toccava al poeta, che non c'era mai stato prima di lui, toccava al poeta dire una parola di poesia, prima del discorso inaugurale.

Ma c'era anche Leonard Bernstein. Leonard Bernstein non era soltanto un grande musicista, era un grande pedagogo, un grande educatore, l'inventore della musica per i giovani, un nobilitatore di cultura anche in altri campi, l'uomo che poi, più tardi, nell'impegno di sostenere Martin Luther King, tenterà di creare un legame tra la parte violenta dell'insurrezione nera e la cultura di Manhattan. Il fatto che un uomo come lui, un grande direttore d'orchestra, fosse lì accanto al futuro Presidente degli Stati Uniti, insieme con il più grande poeta vivente in quel momento, ecco dice molte cose su un rapporto con la cultura che sarebbe stato profondamente diverso.

Questo rapporto di per sé genera cose e quindi noi possiamo, volendo, sederci e provare a scrivere il romanzo delle cose che avrebbe generato, che certamente sarebbero state tante ma non ci sono state.
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