Matrimoni? Pochi. Figli? Pochissimi. Anziani? Tanti. Anzi, tantissimi. Il Belpaese, insomma, è sempre meno un paese per giovani. Una "fotografia", quella scattata dall'
Annuario statistico italiano 2016 dell'Istat, che ci restituisce l'immagine di un paese in cui sono gli anziani a fare la parte del leone. Nel 2015, infatti, il quoziente di natalità è sceso a 8 nati per mille abitanti, 0,3 punti percentuali in meno rispetto a quello dell'anno precedente. I bambini nati infatti sono passati da 502.596 a 485.780. Ma al di là dell'allarmante dato numerico, c'è un aspetto economico tutt'altro che secondario da indagare e non sottovalutare, Soprattutto in ottica futura.
Teleborsa ne ha parlato con il
prof. Gian Carlo Blangiardo, docente presso
l'Università di Milano Bicocca e uno dei più accreditati e conosciuti demografi italiani.
Professore, volendo sintetizzare con un'equazione: Meno giovani, meno lavoro. Che tipo di ripercussioni ha sull'economia italiana?"Iniziamo col dire che il "
meno lavoro" incide sicuramente più del "
meno giovani". Mi spiego, il fatto che ci siano pochi giovani ma che ci sia una forte domanda di lavoro potrebbe voler dire un' economia che gira, dunque produttiva col pil che cresce come accadeva, per capirci, ai tempi del cosiddetto "miracolo italiano", in cui una forte domanda di lavoro a faceva sorridere l'economia e spingeva il pil a due cifre.
Il dramma di oggi è che, nonostante ci siano
pochi giovani, quindi, pochi soggetti che si affacciano nel mondo del lavoro, (circa 500mila unità ogni anno) mentre una volta erano quasi il doppio , ci sono più
disoccupati.
Questo significa che il sistema non è in grado di soddisfare l’esigenza di lavoro che proviene da un flusso di ingressi che, rispetto alle generazioni precedenti, è decisamente più ridotto
La
debolezza nel mercato del lavoro è, per certi versi, anche nell' offerta stessa; nel senso che i giovani che si vanno a proporre nel mondo del lavoro hanno formazioni, competenze e desideri diversi rispetto a quanto il mercato richiederebbe . Non dimentichiamo che ci sono in Italia circa 3 milioni di lavoratori stranieri che coprono posti che normalmente un laureato in scienze della comunicazione, per fare un esempio, non andrebbe certo a coprire (colf, badanti e affini)".
Un paese sempre più vecchio, inoltre, rischia seriamente di far implodere il sistema pensionistico italiano. Quali potrebbero essere gli scenari da qui a vent'anni?"Noi ragioniamo e ci preoccupiamo, in termini generali, quasi esclusivamente del sistema pensionistico, ma c'è anche un altro settore da tenere in seria considerazione.
Iniziamo però dall'Inps: indubbiamente bisognerà frenare il carico pensionistico, ci sono però due elementi da tenere in considerazione: fino al 2030 il numero di persone che raggiungeranno i 65 anni, dunque orientativamente l'età pensionabile, sarà di qualche centinaia di migliaia di unità in più rispetto al numero di persone pensionate che passeranno a miglior vita. Di contro, dal 2050 in poi, coloro che andranno a bussare alle porte del cielo, saranno più numerosi di coloro che andranno a bussare alle porte dell’Inps.
Nonostante alla popolazione nata in Italia si dovranno indubbiamente
aggiungere i numerosi immigrati nati altrove ma invecchiati da noi, il crollo della natalità del recente passato farà sì che intorno al 2050 gli ingressi nel
sistema pensionistico saranno più contenuti e, nel contempo, il numero di morti tra i pensionati sarà cresciuto. Dunque, se il sistema pensionistico sopravvive per i prossimi 30 anni ce la farà, perché nel 2050 la demografia, bontà sua, rimetterà a posto le cose.
Quel che mi preoccupa di più, però, non è tanto il sistema pensionistico, ma quello sanitario, che ovviamente risente (forse ancor più) dell'invecchiamento.
Avremo più persone anziane, un dato questo che influenzerà indubbiamente la crescita della domanda di salute, ma avremo anche anziani più avvezzi all’uso del
sistema sanitario. Con una diffusa abitudine a ricorrere ai servizi della sanità, mi riferisco alle classiche visite, tac, accertamenti ecc.. Questo con una tendenza maggiore rispetto a quanto accadeva prima
Giusto per far comprendere gli effetti dell’
invecchiamento demografico sul sistema sanitario proviamo a dare due numeri. Se applicassimo la prevalenza per sesso ed età , cioè la percentuale di malati, che oggi si osserva per 'Alzheimer o Parkinson alla popolazione prevista fra 15 anni, vedremmo che, per il solo fatto di avere una struttura più vecchia si registrerà un aumento del Parkinson o dell’Alzheimer quasi del 30%.
Aggiungiamo un altro dato che aiuta a riflettere. Oggi ci sono in Italia poco meno di 200mila persone con meno di 95 anni, nel 2050 il numero di persone con almeno 95 anni sarà di 1 milione e 200 mila, in un paese sempre di 60 milioni di abitanti. Se dessimo l'assegno di accompagnamento di 500 euro mensili a tutti gli ultra95enni ci vuole poco a capire l’entità insostenibile della spesa. Questi due dati, insieme, danno un quadro di problematicità da non sottovalutare".
Di contro, qual è il paese più "giovane" in Europa? E, soprattutto,il dato (stavolta positivo) che tipo di riflessi può avere sull'andamento economico di un paese e, quindi, sul suo futuro? "Il
paese più giovane della UE è l'Irlanda, il motivo è semplice, ha (e ha avuto in passato) i livelli di natalità più alti che altrove, grazie a una componente cattolica che, inutile nasconderlo, ha spinto in questa direzione (diversamente da quella di stampo mediterraneo: Italia e Spagna).
Cosa significa in termini economici? E' una questione di prospettive e le
prospettive incidono sull'economia: una popolazione relativamente giovane o una popolazione che ha nella sua prospettiva di vita, lo dico con una espressione semplice ma efficace "
più anni da vivere di quanti ne abbia già vissuti", è una popolazione che investe nel proprio futuro. La popolazione più anziana è più propensa alla manutenzione, al "chi me lo fa fare", a gestire quelle 4 cose che servono per andare avanti dignitosamente, senza pensare a costruirsi un futuro.
Torno all'
Italia del miracolo economico: era un popolo giovane,
demograficamente aveva una prospettiva di vita futura superiore a quella già vissuta, oggi, non di tanto, ma abbiamo meno anni in media da vivere rispetto a quelli già vissuti. Ci stiamo appesantendo, perdiamo cioè l'atteggiamento, l’interesse, verso la ricerca, l'innovazione. Tendiamo sempre meno a sacrificarci per disegnare un futuro migliore. E’ chiaro che tutto ciò finisce per avere
inevitabili ripercussioni economiche"
"