Circa tredici anni fa usciva un rapporto stilato dall'OMS, un documento in cui venivano analizzati i sistemi sanitari dei 191 Paesi membri dell'organizzazione in base a vari criteri, qualitativi e finanziari. Tra questi, l'Italia risultava avere il terzo posto nella classifica generale ed il secondo posto per capacità di risposta assistenziale universale in rapporto alle risorse investite, battuta soltanto dalla Francia. Cosa è cambiato da allora?
Stando ai dati dell'Ocse, nel rapporto “Health at a Glance” del 2009, l'Italia continua ad occupare un posto d'eccellenza, con un'aspettativa di vita in linea con i Paesi più industrializzati, oltre ad una bassissima incidenza di mortalità a seguito di attacco cardiaco e di ictus (due tra le maggiori cause di decessi) e con un livello di ricoveri ad alto costo evitabili per asma, diabete o malattia polmonare ostruttiva cronica, ben al di sotto della media Ocse.
Prendendo però i recenti dati delle classifiche EHCI (“Euro Health Consumer Index”) stilate dalla Health Consumer Powerhouse, lo scenario appare notevolmente diverso. L'Italia, nel 2012, si trova ad occupare un ben più modesto ventunesimo posto. Cinque gli indici di performance analizzati. I peggiori: “prevenzione ed equità del sistema” (26°), area “farmaceutica” (22°) e “accessibilità e tempi di attesa” (21°).
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