E' una domanda che ci si pone spesso di recente. La pesante recessione che ha colpito l'economia mondiale, sin dall'ultimo scorcio del 2008, ha indubbiamente messo in ginocchio le imprese italiane. Ma entra in crisi anche il concetto stesso di impresa e di imprenditorialità? I dati sulla crescita delle imprese nell'arco del 2009 non sembrerebbero confermare questa ipotesi.
Il 2009
Lo scorso anno ha messo in luce uno sviluppo a macchia di leopardo per le imprese italiane, che sembrano tener meglio al Centro e nel Nord Ovest piuttosto che al Nord Est. Il
bilancio delle aperture chiude in attivo dello 0,28% rispetto all'anno precedente, secondo i dati di Unioncamere, con 17.385 imprese nette avviate, ovvero la differenza fra imprese aperte e cessate. Il trend, tuttavia, non è uniforme ed
avvantaggia maggiormente le imprese di capitali rispetto alle piccole imprese individuali, che sentono maggiormente la crisi. Sugli oltre sei milioni di imprese presenti in Italia, le imprese di capitali si impongono con una crescita del 27,92% nel periodo 2003-2009. Le piccole imprese, quelle che notoriamente caratterizzano il tessuto imprenditoriale italiano, sono diminuite di 30 mila unità.
Qual'è la ragione di questa diversità?
La risposta è lapalissiana. La crisi economica e finanziaria che ha travolto il Bel Paese ed il mondo intero non ha lasciato indenni le dinamiche e le strutture del
credito alle imprese. Una maggiore difficoltà di accesso al credito, le più rigide garanzie richieste dagli Istituti di credito e l'impossibilità in molti casi di fornire queste garanzie, è stato fatale per il piccolo imprenditore, stretto nella morsa di una domanda stagnante e messo in condizione di dover chiudere i battenti della propria impresa.
L'impresa "alternativa"
La crescita delle imprese nell'anno più buio dal dopoguerra conferma dunque la validità del concetto stesso di imprenditorialità. Ma vanno anche considerate alcune discrepanze rispetto a questo quadro di sintesi. Secondo alcuni studi di settore, imperversano curiosamente i giovani imprenditori, le donne, gli ex dipendenti ed i disoccupati. Questi studi confermerebbero la nascita del concetto di "impresa come alternativa", per neolaureati che non trovano lavoro, per coloro che hanno perso il proprio posto di lavoro e più in generale per tutti coloro che stimolano la creatività per necessità e forza di volontà. Si riafferma così la piccola impresa individuale, la ditta familiare, un nucleo disposto ad affrontare la crisi anche senza un'adeguata preparazione.
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