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Imprese nella morsa del fisco: senza correttivi per le Pmi tasse al 61,4%

Lo denuncia la Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) nel Rapporto 2018 sul fisco "Comune che vai, fisco che trovi"

Vita dura per le imprese sempre più strette nella morsa del fisco. E nonostante al giorno d'oggi fare impresa sia davvero un'impresa, ci sia concesso il gioco di parole, dimenticate le buone notizie che potrebbero far ben sperare per il futuro. Niente da fare, ne arrivano di cattive: senza correttivi, infatti, nel 2018 la pressione fiscale media sulla piccola impresa italiana, infatti, salirà ancora.

A lanciare l'allarme è la Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) nel Rapporto 2018 "Comune che vai fisco che trovi" sulla tassazione delle piccole imprese in Italia che analizza il peso del fisco sul reddito delle piccole imprese in 137 comuni del nostro Paese, tra i quali tutti i capoluoghi di provincia. L’Osservatorio calcola il Total tax rate (Ttr), vale a dire l’ammontare di tutte le imposte e di tutti i contributi sociali obbligatori che gravano sulle imprese espresso in percentuale sui redditi.

QUOTA 61, 4% - Stando, infatti, alle proiezioni di Cna la pressione fiscale sulle Pmi, già salita nel 2017 dello 0,3% fino a toccare quota 61,2% nel 2018 salirà ancora al 61,4%.

Un incremento lieve, lontano dal picco del 2012, ma con un segno "più" che non può certo rallegrare l’ossatura portante del sistema produttivo italiano. Inoltre, non è da trascurare un altro aspetto: il dato di sintesi,non fotografa le profonde differenze nella tassazione locale. La realtà italiana, infatti, è molto complessa. Tanto da far emergere non "una" pressione fiscale, ma "numerose" pressioni fiscali.

Un paese, tante tassazioni: tra Reggio Calabria e Gorizia, un abisso

Reggio Calabria rimane il capoluogo che maggiormente tartassa le piccole imprese con un Ttr (Total Tax Rate) del 73,4% (+0,2% rispetto all’anno scorso). Alle spalle della "maglia nera" si conferma Bologna (72,2%), seguita da Roma e Firenze (69,5%), Catania (69%), Bari (68,5%), Napoli (68,2%), Cremona e Salerno (67,3%), Foggia (66,8%).

Agli antipodi di Reggio Calabria si piazza Gorizia, dove il Ttr ( incide soltanto per il 53,8%. Nell’ordine seguono Udine (54,5%), Imola (54,9%), Cuneo, Trento e Belluno (55%), Sondrio (55,3%), Carbonia (55,8%), Arezzo (56,1%) e Mantova (56,2%).

Lo scenario alternativo: le proposte della CNA

Ma non tutto è perduto. Cosa si può fare per mettere un freno alla crescita della pressione fiscale sulle piccole imprese?

Ad esempio l’aumento della franchigia Irap dagli attuali 13mila euro a 30mila euro determinerebbe una riduzione del Ttr di 1,4 punti percentuali, portando il Ttr previsto per quest’anno dal 61,2% del 2017 al 60% contro il 61,4% a bocce ferme.

Ancora più consistenti risulterebbero gli effetti delle riforme considerando l’adozione del regime Iri al 24%, già prevista proprio per il 2018, che porterebbe il Ttr al 59,2%. Ma a fare l’effettiva differenza sarebbe l’introduzione della totale deducibilità dell’Imu sui beni strumentali delle imprese: capannoni, laboratori, negozi. In questo caso il Ttr crollerebbe al 57,4%, quattro punti percentuali in meno rispetto al Ttr previsto dall’Osservatorio CNA per il 2018. Ma per fare bingo una piccola impresa dovrebbe ottenere l’applicazione contemporanea delle tre misure: il Ttr calerebbe al 53,5%. Non una soluzione definitiva, tutt’altro, ma almeno una salutare boccata d’ossigeno per le piccole imprese e un concreto avvio del percorso per riequilibrare un sistema fiscale insopportabile.
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