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La crisi da avidità e le banche italiane

Un sistema bancario valido
Se è vero, come alcuni sostengono con forza, che quella attuale è la più grande crisi da avidità dell'epoca moderna e se è vero che ciò è dimostrato dal fatto che la crisi non si è sviluppata trasversalmente in tutti i sistemi bancari evoluti, ma ha trovato terreno fertile solo dove la prudenza dei banchieri è stata disinvoltamente immolata al Dio Dollaro (la scelta della valuta non è propriamente casuale), diventa interessante, a questo punto, dare un'occhiata a come si è comportato in questi drammatici frangenti il sistema bancario italiano.

In prima battuta, andando a guardare un po' di dati, sembrerebbe possibile affermare che il tanto vituperato sistema bancario di casa nostra (attenzione alle vocali) non se la sia affatto cavata male, anzi direi che il "modello italiano" abbia dimostrato, nel suo complesso, una notevole capacità di sviluppare anticorpi in grado di resistere efficacemente al virus che non mi sembra fuori luogo indicare come "americano". Infatti, mentre le banche di investimento USA - facendosi scudo delle teorie neo liberiste della scuola di Chicago, tutte improntate all'inviolabilità del Dio Mercato - mettevano a rischio il sistema finanziario mondiale commettendo nefandezze da "basso impero", il nostro sistema è riuscito a reggere all'onda d'urto proveniente dagli States aggrappandosi con forza alla propria "impalcatura". Più in particolare, l'insieme delle nostre banche è riuscita, in primo luogo, a "puntellarsi" ad una raccolta costituita per il 70% dalle risorse acquisite al dettaglio (i propri risparmiatori per capirci) e solo per il 30% dalla raccolta recuperata "all'ingrosso" sui mercati finanziari: è evidente che poter "bussare" alla porta della propria clientela "fidelizzata" rende le banche italiane meno vulnerabili alle fluttuazioni improvvise dei mercati internazionali rispetto ad altre banche estere dotate di scarsa raccolta diretta.

In seconda battuta, il nostro sistema ha potuto contare sulla sua propensione ad indirizzare gli impieghi più verso il sostegno delle esigenze della clientela (60%) che verso la finanza ed il trading (40%), al contrario delle banche anglosassoni che tendono invece ad invertire questo rapporto.

In terzo luogo, il sistema delle nostre banche è riuscito a resistere agli scossoni provenienti da oltreoceano perché ha avuto la possibilità di "aggrapparsi" ad un altro "appiglio" di grande importanza: il proprio basso grado di indebitamento. Anche da questo punto di vista, infatti, i dati ci riservano una sorpresa perché evidenziano che il grado di indebitamento delle nostre prime banche è pari a circa 23 volte il capitale detenuto (1 euro di capitale ogni 23 euro di indebitamento) ben al di sotto della media europea di massima pari a 34. Da evidenziare, tra l'altro che alcuni colossi esteri quali UBS o Deutsche Bank raggiungono soglie di indebitamento di sicura attenzione pari rispettivamente a 53 e 68 volte il capitale detenuto. Vale ricordare, a questo proposito, che il ricorso da parte delle banche di investimento americane ad un eccessivo indebitamento per finanziare le proprie attività speculative (30/40 volte il proprio capitale nell'indifferenza delle autorità di vigilanza), è stata sicuramente una delle principali concause della crisi di cui ancora oggi fatichiamo a liberarci!

Infine, l'ultima "impalcatura" che ci ha sorretto è stata quella costituita dalla solidità patrimoniale del nostro sistema bancario: da questo punto di vista ciò che colpisce è soprattutto il grande sforzo compiuto nell'ultimo biennio dalle banche italiane per rafforzare la propria struttura attraverso un mix di iniziative composte da aumenti di capitale, cessioni di filiali e società non strategiche, utilizzo di aiuti pubblici (i Tremonti bonds), emissione di obbligazioni convertibili etc. Questa strategia, fortemente voluta da Banca d'Italia ed attuata in un periodo "impossibile", ha permesso ai principali gruppi bancari italiani di passare da una situazione di patrimonializzazione a fine 2008 appena sufficiente ed inferiore alla media europea, ad una situazione attuale caratterizzata da un rapporto più che soddisfacente tra patrimonio disponibile e rischiosità degli impieghi. Questo trend positivo è ben evidenziato dal sorvegliatissimo ed onnipresente indice "core tier one ratio" il quale, riferito ai 5 primari gruppi italiani, è passato da un valore medio del 5,8% di fine 2008 all'attuale livello "di sicurezza" del 7% e si sta avviando rapidamente verso quota 7,5%-8% secondo le indicazioni del Comitato di Basilea.

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