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Interessi usurari nei contratti di "finanziamento": il consumatore tra l’incudine e il martello

Non fidarsi delle Banche è bene, ma non fidarsi di chi vuole portarle in tribunale ad ogni costo è anche meglio

Quest'oggi, a distanza di tre anni dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione n. 350/2013, è possibile affermare che le azioni intentate contro le Banche e basate sulla teoria della sommatoria sopra descritta sono, nella gran parte dei casi, andate fallite. In altri termini, chi ha agito per sostenere l'illegittimità degli interessi pattuiti in un contratto di finanziamento, rappresentando come usurario il tasso risultante dalla somma tra interessi corrispettivi e moratori, non potrà arrivare al risultato sperato di smettere di pagare simili interessi, né potrà chiedere la restituzione di quelli già versati.E la ragione di ciò, per dirla in poche ed immediate parole, è che gli interessi corrispettivi e quelli di mora hanno, come visto, natura diversa, e che la somma dei rispettivi diversi valori non può essere comparata con il citato tasso usura per rilevarne l'eventuale superamento. Hanno avuto modo di affermarlo molti autorevoli autori competenti e soprattutto la gran parte delle sentenze dei Tribunali che si sono espresse al riguardo.

Tutto ciò non significa che le Banche (o le società ad esse equiparate) abbiano fatto il proprio mestiere di finanziatori sempre in buona fede e secondo le regole deontologiche dell'attività finanziaria. Significa solo che è bene porre attenzione a certi annunci di successi scontati, perché alle volte il presunto rimedio potrebbe essere peggiore del sedicente problema (basti pensare a tutti i costi da sostenere per arrivare al risultato annunciato, tra tempo investito, perizie, spese di lite del proprio legale, a cui potrebbe seguire la beffa di dover corrispondere le spese legali all'avvocato della controparte in causa in caso di sconfitta).
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