Il caso Italia
A parte il fatto che conoscere i default aiuta a viverli meglio, cosa ne sarà dell'Italia? Gli eventi degli ultimi mesi hanno delineato un quadro piuttosto allarmante: un rapporto debito/PIL esorbitante, scarsi input di crescita e spread alle stelle non fanno certamente dormire sonni tranquilli.
Sul tema default-Italia il mondo si divide: c'è chi stima che non ci andrà, chi invece dice che è solo questione di (poco) tempo e chi crede che sia addirittura meglio dichiarare bancarotta piuttosto che patire sacrifici e misure, lacrime e sangue.
Anche perché in molti casi, come aveva mostrato un grafico dell'Economist, le conseguenze economiche di un default sono recuperabili in pochi anni, almeno dal punto di vista della ricchezza complessiva dello Stato.
I pro-default sostengono che nelle attuali condizioni in cui versa, l'Italia vive comunque in miseria, visto che deve attuare misure di austerity molto pesanti. Ammesso, inoltre, che il Paese fallisse involontariamente, il Fondo EFSF non sarebbe in grado di sostenere un'economia tanto grande. Perché, dunque, rischiare questi scenari che, in ogni caso, sono terribili? Tanto vale sventolare bandiera bianca, anche se il default deve essere volontario altrimenti scattano i credit default swap.
Quello che occorrerebbe all'Italia è dunque tornare alla lira, non pagare i creditori esteri, recuperare competitività per i prodotti italiani grazie alla forte svalutazione della nuova valuta nazionale e stampare moneta per creare la liquidità che verrebbe meno causa il prevedibile collasso del sistema creditizio.
Tutte soluzioni, queste, che il numero uno della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha definito qualche giorno fa impossibili. Un simile scenario, oltre e presupporre ingenti riforme strutturali che uno Stato in crisi profonda, ovviamente, non ha, creerebbe un'elevatissima inflazione.
Non solo. Se l'Italia evitasse di ripagare il debito in mano agli investitori esteri, data l'attuale impasse dell'economia globale, non è difficile immaginare quale grossa reazione a catena si scatenerebbe!
Chi porta come esempio l'Argentina, che a pochi anni dal fallimento vanta un PIL all'8%, deve anche considerare che allora il Paese latinoamericano mitigò gli esiti del crack perché in quegli anni aveva come partner commerciale un Brasile forte e lanciatissimo. Altre nazioni come Islanda e Russia sono, invece, uscite a testa alta grazie alle loro ingenti risorse naturali. E' evidente che in questo momento l'Italia non ha né quel requisito né l'altro!
Infine, non bisogna dimenticare che dopo un default è difficilissimo recuperare la fiducia degli investitori, soprattutto stranieri, e un fallimento ha comunque conseguenze molto pesanti sui meccanismi del credito e sul sistema bancario.
Qualche mese fa Panorama ha smontato le teorie catastrofiste secondo cui i rendimenti dei BTP decennali al 7% rappresentano un punto di non ritorno citando due stress test pubblicati dal Rapporto sulla Stabilità finanziaria della Banca d'Italia presentato lo scorso 2 novembre. In questi stress test vengono simulati due scenari: nel primo lo yield del decennale raggiunge l'8% e ci resta per tre anni, nel secondo si aggiunge una crescita zero. Nel primo caso, nonostante il maggior costo degli interessi, il debito pubblico continuerebbe a scendere, anche se meno del previsto. Nel secondo caso, il debito resterebbe al 120% ma il Paese ripagherebbe ugualmente i creditori. Questo avverrebbe grazie all'avanzo primario che dovrebbe superare gli 88 miliardi tra tre anni.
Vista la delicata situazione in cui si trovano l'Italia e i partner della Zona Euro, ma anche gli sforzi dell'attuale Governo di risanare i conti entro il 2013, non resta che attendere. E sperare che i corsi e ricorsi storici e economici abbiano una durata breve, per poter vantare tra qualche tempo un PIL all'8%, come l'Argentina adesso. Ma senza essere andati in default.
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