... tutto (o quasi) già visto
La prima fondamentale premessa è che crisi del debito e default sono tanto vecchi quanto l'abitudine, da parte di uno Stato, di prendere in prestito dei soldi. Il primo default noto alla storia risale addirittura al IV secolo a.c., ai tempi dell'antica Grecia. La cosa si è poi amplificata nell'era moderna, più o meno attorno alla metà del '500, con Paesi allora di tutto rispetto quali Francia, Spagna (che fino al '700 accumularono rispettivamente 8 e 6 default!) e Prussia, per poi esplodere a partire dal XIX secolo, nei modi che tutti ormai conoscono e cioè con tanto di crisi e ristrutturazioni del debito.
In generale, gli economisti hanno osservato che di solito i fallimenti arrivano a gruppi, soprattutto alla fine di un forte aumento del flusso prestiti chiesti dalle Nazioni, dovuto a sua volta da vari fattori, quali cambiamenti politici degli Stati debitori (per esempio, la fine del comunismo), economici e ciclici. Se a questo boom di prestiti segue un periodo di grave crisi economica (come per esempio quella degli anni '30), l'ondata di default è praticamente certa.
L'ultimo picco di prestiti risale al 1990, quando a chiedere ingenti quantità di denaro furono i Paesi dell'America Latina, quelli emergenti in Asia e le ex repubbliche comuniste in Europa orientale. E, guarda il caso, tra il 1998 e il 2004 hanno alzato bandiera bianca 14 Paesi tra cui Russia, Turchia, Ucraina, Argentina e Ecuador. Poca cosa rispetto al periodo che va dal 1976 al 1989, quando a fallire furono addirittura 17 nazioni, tra cui ancora una volta, l'Argentina. Del resto anche in quest'ultimo caso c'era da aspettarselo, col senno di poi: negli anni '80 gravava sulle economie globali una pesante crisi.
Se a un boom di prestiti corrisponde un default l'Italia, che è uno dei paesi più indebitati al mondo, ha le ore contate? No! La storia dimostra che non tutti gli Stati che hanno chiesto ingenti quantità di denaro sono falliti; molto dipende anche dall'indebitamento totale, dall'uso fatto dei prestiti, dallo stato di efficienza di istituzioni fiscali e politiche, dall'entità di un eventuale shock subìto, dallo stato di salute delle economie circostanti. Ma a mandare in bancarotta un Paese possono concorrere anche il deterioramento della bilancia commerciale, una recessione nei Paesi "core" a livello di fornitura di capitali, l'aumento dei costi di prestito dovuto a fattori interni e, last but not least, il cosiddetto "effetto domino", ovvero il fallimento di un grande Paese debitore che poi trascina con sé quelli più in bilico (e qui il déjà vu non è confortante!).
Ciò non toglie che una nazione possa volontariamente ripudiare i suoi debiti per motivi politici, guerre, rivoluzioni e conflitti civili. Lo hanno fatto Italia, Turchia e Giappone in occasione della seconda guerra mondiale, ma anche Messico, Cina, Cecoslovacchia e Cuba dopo le rispettive rivoluzioni comuniste.
Anche quando il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e l'Unione Europea sono andate a spulciare i conti della Grecia per tentare di salvare il salvabile non è successo nulla di nuovo: l'idea di istituire commissioni ad hoc per negoziare con gli Stati in fallimento risale infatti all'800. La differenza tra loro e la Troika è che queste commissioni erano poco esperte, poco coordinate e spesso in competizione tra loro.
Da rilevare, tra l'altro, che fino agli anni '70 vigeva soprattutto il motto "prendere o lasciare", che a conti fatti conveniva ai creditori. Poi, con la storia, cambiò radicalmente l'assetto dei debiti sovrani nel mondo: da obbligazioni detenute da pochi paesi creditori a debiti in mano a poche centinaia di banche commerciali. Fu per questo che il FMI assunse autorità e importanza strategica.
Un altro elemento che ha insegnato la storia recente, è che la maggior parte dei default degli ultimi secoli si è risolta con qualche forma di accordo tra debitori e creditori. E anche che, incrociando le dita, è dalla fine della seconda guerra mondiale che una superpotenza non dichiara bancarotta (ma prima sono scivolate "big" del calibro della Germania - 1932 e seconda Guerra Mondiale - e nazioni virtuosissime come l'Austria).
Molti si chiederanno: che ruolo aveva il Governo dello Stato creditore? Nessuno, come al giorno d'oggi. Anche perché sono ormai passati i tempi in cui un Governo interveniva facendo pressione diplomatica più o meno "vigorosa". Adesso sarebbe inconcepibile che la Germania invada la Grecia per ripagarsi delle perdite subite a causa della sua grave crisi. Eppure in un passato più o meno lontano una simile pratica fu attuata da Francia (che invase il Messico), Gran Bretagna (con l'Egitto nel 1882), ma anche dall'Italia, che nel 1902 impose un blocco marittimo al Venezuela assieme a Londra e Berlino.
Questa abitudine si estinse comunque dopo la seconda guerra mondiale, anche grazie all'istituzione del Fondo Monetario Internazionale, che oltretutto doveva prevenire qualsiasi crisi del debito.
Interessante è rilevare, inoltre, come molti Paesi abbiano fatto propria l'ideologia dello Stato britannico, che dichiarava apertamente di volersi tenere fuori dalle questioni legate ai default per una questione morale: se la banca voleva arrischiarsi in certi tipi di investimento perché più redditizi, ne pagava anche eventuali esiti negativi.
Un ultimo aspetto da analizzare è quello dell'entità delle perdite subìte dagli investitori a causa di default e ristrutturazioni.
La storia insegna che, a parte i fallimenti più clamorosi dove è stata innegabile la remissione dei creditori (basti chiederlo ai migliaia di risparmiatori italiani che avevano investito nei Tango bond), nel caso di moltissime ristrutturazioni non si può parlare solo di perdite perché andrebbe sempre fatta la differenza tra quanto guadagnato in periodi di non crisi con quel tipo di investimento e quanto poi pattuito in sede di ristrutturazione. Ebbene, sembra che spesso ci sia stato addirittura un piccolo guadagno!
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