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Imprese in crisi o crisi dell'impresa?

E’ boom degli immigrati
La crisi non spaventa nemmeno lo "straniero", sempre più convinto che l'impresa sia il modo migliore per integrarsi nella società italiana, senza lo sfruttamento del lavoro nero e con pari dignità del "cittadino". Nel 2009 la crescita dell'imprenditoria straniera è apparsa ben più ambiziosa di quella nazionale, con un incremento del 4,1% rispetto al 2008, secondo i dati forniti di recente dalla CGIA di Mestre. Un trend che prosegue ormai da qualche anno con una crescita di oltre il 40% nell'ultimo quinquennio e che porta il totale dei business stranieri a 599.036, pari al 7,3% degli oltre sei milioni di imprese operanti in Italia.
La sorpresa non è tutta qui... Udite! Udite! Si stima che queste imprese impieghino oltre due milioni di persone, fra marocchini, albanesi, rumeni e cinesi.
Sul piano economico, i dati relativi al 2007, evidenziavano il consistente apporto degli immigrati all'economia italiana che si concretizza, secondo un rapporto di Unioncamere, in 134 miliardi di euro, pari al 9,5% del prodotto interno lordo.

Ma l'italiano resta una pecca

Nonostante la grande propensione per l'imprenditorialità degli immigrati, sembra proprio che questi trovino grandi difficoltà con la lingua italiana. Il tentativo di inserirsi nel tessuto sociale del Paese, così, naufraga inevitabilmente con le finezze della lingua di Dante. Sarebbero i cinesi i più restii ad imparare l'italiano, anche se una indagine dell'Istat rileva che la maggior parte degli stranieri che lavorano in Italia parla la nostra lingua.

Banca? E che cos'è?

Una indagine di Unioncamere rileva che oltre un quarto delle imprese gestite da immigrati non ha mai avuto relazioni con le banche, nemmeno attraverso l'apertura di un conto corrente. Inoltre, meno di un quinto richiede prestiti al sistema creditizio, preferendo l'autofinanziamento o il sostegno di amici e parenti.
Cinesi ed africane le comunità che meno si rivolgono agli istituti di credito.


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