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Il debito pubblico ed il patto di stabilità e crescita. Qualche suggerimento al Ministro dell'Economia

Ripensare il patto, il ruolo della pubblica amministrazione per consentire un controllo della spesa che riduca gli interessi opportunistici a favore dei più deboli

2) Un patto di stabilità e crescita (marziano), asimmetrico al paese ed ostaggio della burocrazia

Il patto di stabilità e crescita pensato nel 1997 di fatto si ripete pari pari oggi e presenta gli stessi problemi di applicazione, che non hanno fatto nulla per abbattere il debito verso la linea rossa del 60% sul PIL come previsto dal patto. Su questo ha giocato un modello culturale di un patto strabico che ha creato un progressivo distacco delle amministrazioni centrali da quelle periferiche mandando in corto circuito il sistema, perché le prime sono sempre più lontane dalla realtà e vedono i problemi da lontano senza preoccuparsi di come norme troppo spesso astratte possono essere applicate nei fatti; le seconde alle prese con un "sudoku" giuridico si affannano ad interpretare norme continuamente variabili in un orizzonte temporale di breve o brevissimo termine.

L'incapacità di intervenire sulla spesa maschera, inoltre, la volontà politica di perseguire, tramite l'espansione della stessa, il consenso politico rinviando continuamente la soluzione dei problemi e rendendoli sempre più complicati in un contesto storico in cui quest'azione alimenta il disagio ed i conflitti sociali. Alla fine si rincorrono sempre le entrate di cassa – le privatizzazioni – per sostenere la spesa corrente e non per ridurre il debito. Stiamo svendendo il patrimonio e le nostre migliori aziende per continuare a sostenere la spesa corrente senza una strategia di lungo tempo, ma non possiamo andare avanti perché ci stiamo mangiando il patrimonio in immobili ed imprese. Il paese si è indebolito e molte imprese ed immobili sono ceduti a fondi di capital venture pronti ad indebolirci ulteriormente; prima dobbiamo abbattere la spesa corrente e modificare una politica che divora sé stessa come Saturno che divora i suoi figli.

Il patto prevede, poi, una regolazione uniforme sul territorio con realtà profondamente diverse che finiscono per interpretare le regole in modo diverso e così in mancanza di un vero controllo le stesse operazioni, parità di norme, sono rilevate in modo differente; la fantasia italica ha sempre il sopravvento.

Chi vive in Lombardia, al centro-nord, di fatto, per storia, cultura, condizioni economiche e sociali è diverso da coloro che vivono in altri territori, ad esempio al sud dove la diversità è più marcata. La cultura contadina del paese infatti ha dato forma a modelli sociali e culturali diversi, al nord si è sviluppata la mezzadria e la compartecipazione al risultato, al sud invece il latifondo ed il bracciantato hanno sviluppato e radicato la cultura della rendita. Così al centro nord i mezzadri di più di un secolo fa sono diventati gli impresari del terziario mantenendo la stessa radice culturale: lavorare per investire e produrre nuova ricchezza e sviluppando un sistema di solidarietà sociale. Al sud, invece, è prevalsa l'impostazione del latifondo (che nel dopoguerra da agricolo diventa politico, "le cattedrali nel deserto", ma rimane la cultura della rendita) e del bracciantato che si incardina nella rendita che non crea ricchezza ma la brucia ed incrementa la concentrazione di ricchezza ed i disagi sociali.

Il patto di stabilità interno non tiene conto delle diverse aree geografiche e delle diverse culture, per questo non funziona. I ministeri stanno su Marte e sono sempre più lontani dalla realtà incapaci, peraltro come tutti, di rinnovarsi nei modelli culturali: il criterio dell'uniformità applicato a oltre 8 mila amministrazioni comunali diverse non è più compatibile con le esigenze di cambiamento sociale e culturale del paese ed in definitiva di controllo guidato. Il patto di stabilità è pensato per ogni singolo comune ed irrigidisce la gestione quando, invece, questa va resa più elastica ma sempre nel rispetto di vincoli che vanno pensati però a livello regionale per favorire il controllo e la ricostruzione di un sistema di condivisione territoriale dei risultati, come avviene in altri paesi - Austria, Germania, Spagna...

Per esempio, oggi, a livello comunale ci sono vincoli su ogni singola voce a canne d'organo che non consentono una gestione in grado di realizzare gli equilibri di bilancio attraverso forme compensative tra le stesse voci. E' necessario andare su un patto regionale e su risultati di sintesi ed attuare allora un controllo rigoroso per capire dove stanno le responsabilità che oggi sfuggono sempre, ma senza una resa di conto trasparente non si va da nessuna parte. Un meccanismo ingessato mortalmente che si muove in un contesto paradossale, con un sistema di vincoli e deroghe che genera risultati opposti.

Un esempio evidente di come l'inadeguatezza del patto e delle regole spingano ad elusioni dello stesso sono stati i derivati e le partecipate. Il vincolo sull'indebitamento mal posto ha spinto alla formazione di società partecipate per scaricare su di esse al di fuori del bilancio comunale i debiti o problemi i fatti erano evidenti, ma non si sono mai posti provvedimenti correttivi ed oggi non si sa esattamente quanto è il debito dei gruppi pubblici comunali in aggiunta a quelli dei comuni; basti vedere come ogni singolo giorno vengono alla luce comportamenti elusivi sulle partecipate per favorire interessi particolari. Stesso discorso per i derivati che fino al 2007 era consentito fare senza iscriverli in bilancio come debito, si è steso un tappeto di velluto rosso per l'elusione; adesso stanno emergendo problemi evidenti da anni.

Si potrebbe andare avanti in questa galleria degli orrori ma mai nessuno che lo metta in discussione o provi solo a domandarsi se funziona o no; fino a quando sarà possibile mandare avanti i problemi perché "quod differtur non aufertur" (quel che viene rimandato non viene tolto) dicevano i nostri antenati latini. Basterebbero interventi di semplificazione per ridurre la spesa e recuperare risorse intervenendo su un sistema contabile fatto di norme complicate, bizantine e finalizzato a reiterare se stesso e gli interessi che ne sono legati.

Ad esempio per qualsiasi voce di spesa si deve procedere alla tracciatura contabile anche per valori irrisori: se si deve acquistare una bottiglietta di acqua del valore di 0,70 centesimi le procedure prevedono prima di tutto la verifica della disponibilità in bilancio – l'impegno di spesa – poi si va al bar e si prende lo scontrino, poi si redige la relazione dove si giustifica il perché dell'acquisto, la verificata disponibilità di spesa e tutto il resto. Alla fine i 70 centesimi di spesa diventano 100 euro in termini di costo di rilevazione. Quando queste rilevazioni di valore irrisorio diventano il 70% del totale si bruciano risorse in termini di ore di lavoro che potrebbero essere destinate ad altre priorità. Recentemente un consigliere regionale ha chiesto il rimborso di 0,50 centesimi; quanto è costata l'operazione che gli ha permesso di tornare in possesso dei suoi 0,50 centesimi? Qual è l'esempio che appare da questi comportamenti?

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