Il contenimento dell'inflazione viene presentato come un grande successo. Non dobbiamo però dimenticare che, a pochi giorni dall'inizio ufficiale di un lungo ciclo di ribassi dei tassi (la Fed inizierà a tagliare il 18 settembre), l'inflazione core è ancora ben sopra il 2 per cento. Di solito, quando parte un ciclo di tagli dei tassi, l'inflazione è più bassa. Dobbiamo poi ricordare che la Cina sta aiutando l'inflazione globale a scendere sia per effetto della svalutazione del renminbi (che però da un mese è tornato a salire e che verosimilmente rimarrà in tendenza positiva) sia per il diverso modello di sviluppo che sta scegliendo di seguire. La Cina ha infatti abbastanza case e infrastrutture (perfino troppe) e ha accumulato grandi scorte di materie prime. Da qui in avanti si concentrerà su produzioni più avanzate, meno energivore e che richiederanno volumi più bassi di materie prime. Gli effetti sui corsi di queste ultime sono già visibili. Sono però, non dimentichiamolo, effetti una tantum.
Il mercato del lavoro, più che dai tassi elevati, è stato normalizzato dalla crescita fortissima dell'immigrazione, in particolare in Canada, Australia e Stati Uniti. L'immigrazione spiega perché vediamo nello stesso momento salire il tasso di disoccupazione e il numero dei posti di lavoro. Il mercato e la Fed sono pronti a fare drammi e a tagliare drasticamente se la creazione di nuovi posti di lavoro scenderà verso le 100mila unità al mese, ma questa era, fino al 2019, la quantità fisiologica per mantenere tutto in equilibrio.
La politica monetaria completerà la normalizzazione entro la fine dell'anno prossimo con un tasso terminale vicino al 3 per cento e il decennale che, dovendo includere un term premium, non sarà molto lontano dai livelli attuali. L'aumento del tasso terminale rispetto al mondo del 2019 è dovuto, tra l'altro, all'inflazione salariale, che si va stabilizzando un punto abbondante al di sopra di quella di allora.
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