Negli ultimi giorni molte cose hanno però assunto una luce diversa. Oltre alla geopolitica, di cui abbiamo detto, ci sono stati un
programma di emissioni meno pesante del previsto da parte del Tesoro americano, dati incoraggianti sull'inflazione e segnali di atterraggio morbido da parte dell'economia e del mercato del lavoro americani.
Intendiamoci, i problemi strutturali rimangono tutti ancora saldamente al loro posto. Il mondo unipolare è in crisi e il passaggio a una struttura multipolare continuerà a essere pieno di rischi nel medio e lungo periodo. Gli ampi disavanzi fiscali si estendono sull'orizzonte a perdita d'occhio, anche se la ripresa dei mercati genererà imposte sui capital gain che li attenueranno.
L'economia americana passa da surriscaldata a tiepida,
ma non è ancora chiaro se e quanto il processo di raffreddamento continuerà.
Nel breve termine, in ogni caso, è giustificato che i mercati prendano atto dei miglioramenti visibili e del fatto che questi possano generare un circolo virtuoso. Un atteggiamento costruttivo, se si esclude l'ipotesi di una recessione, è dunque possibile sia per l'azionario sia per l'obbligazionario. In caso di recessione, l'obbligazionario di qualità ha ovviamente una possibilità in più. Per il momento, in ogni caso, lo scenario di base esclude la recessione, ma proprio per questo immaginare una rapida sequenza di tagli dei tassi già dalla prima metà dell'anno prossimo è un eccesso di ottimismo.
Certo,
se si profilerà una recessione le banche centrali dichiareranno conclusa la loro battaglia (anche con l'inflazione al 3 per cento) e taglieranno. Se però la recessione, come ci sembra, non ci sarà, le banche centrali si concederanno il lusso di provare a riconquistare anche l'ultimo miglio, ovvero a raggiungere il 2 per cento. In cambio di qualche mese in più di tassi alti, infatti, porteranno a casa un quasi completo recupero di credibilità che potrà tornare molto utile nella seconda parte del decennio.
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