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120 / Ma gli strumenti non convenzionali della BCE sono stati proprio inutili e dannosi?


Seconda domanda: ma questi interventi non convenzionali, ed in particolare il QE, ci hanno aiutato davvero nel percorso, ancora incompiuto, di uscire dalla crisi?

L'obiettivo dichiarato della BCE era quello di raggiungere, grazie agli interventi straordinari citati, un livello di inflazione nell'Eurozona intorno al 2%, target ritenuto compatibile con una crescita consolidata dell'economia. Data la complessità della crisi (la Yellen ha di recente confessato che la FED non riesce appieno a comprendere la variabili che agiscono sull'inflazione) l'obiettivo non è stato ancora raggiunto. Infatti, al momento l'inflazione nell'Eurozona si muove attorno all'1,5%. Ciò premesso, sicuramente i descritti interventi della BCE hanno contribuito a rivitalizzare l'economia in generale ed il tessuto imprenditoriale in particolare. Concentrandoci sul QE, questo ha esplicato i suoi effetti positivi sia a livello di Stato che di tessuto imprenditoriale.

Più in particolare, a livello di singolo Stato, l'intervento della BCE come importante acquirente di titoli pubblici ha generato una forte pressione sulla domanda dei titoli stessi causando un aumento dei prezzi ed un abbassamento della curva degli interessi sulle successive emissioni. Di conseguenza lo Stato, specie se indebitato come l'Italia, ha visto ridursi la spesa corrente per interessi ed aumentare, parallelamente, i fondi disponibili per il sostegno delle imprese. A livello di rapporto banca-impresa, le banche, grazie agli acquisti della BCE, sono divenute più liquide e, in presenza di impieghi finanziari resi poco remunerativi o addirittura negativi (gli interventi della BCE comprimono la curva dei tassi) hanno incrementato gli impieghi verso il mondo imprenditoriale. Di conseguenza le aziende hanno goduto di liquidità a medio termine ad ottimi tassi destinabile al finanziamento degli investimenti.

Terza domanda: è giunta l'ora, come vorrebbero i tedeschi, di chiudere rapidamente la stagione del QE?

Tutti gli stimoli monetari, per loro natura, sono di breve periodo. Quindi sono in grado di dare una brusca accelerazione iniziale all'economia, ma devono poi lasciare il passo alle riforme strutturali dei governi. Anche perché, se si protraggono troppo a lungo, tendono a generare danni collaterali anche di notevole portata. Ad esempio, tassi di interesse tenuti artificialmente bassi per troppo tempo, nell'immediato danno una forte spinta alle imprese, ma, nel lungo periodo, danneggiano gravemente i conti economici delle banche impedendo a queste ultime di supportare al meglio il settore produttivo.

Di conseguenza, in presenza di alcuni segnali positivi di ripresa, ha un senso iniziare ad esaminare una "way out" dal QE. A due condizioni però: la prima è che questa ripresa si estenda in maniera sufficientemente omogenea nei diversi Paesi dell'Eurozona. Altrimenti, la inevitabile pressione sui tassi di interesse e sul cambio Euro / Dollaro porterebbe ad una pericolosa divaricazione tra i Paesi ancora bisognosi di misure espansive rispetto a quelli già in ripresa conclamata. La seconda condizione è che l'abbandono del Quatitative Easing, al contrario di quanto auspicato da alcuni schieramenti politici tedeschi, avvenga in maniera estremamente graduale ed equilibrata. Di tutto abbiamo bisogno meno che di un "effetto rebound" in grado di stoppare sul nascere una ripresa ancora decisamente fragile.

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