Purtroppo, i dati di Novembre dell'Istat ci hanno bruscamente risvegliati dal nostro torpore evidenziando una contemporanea
battuta di arresto sia dell'inflazione che del PIL. Infatti, per quanto riguarda il dato sull'inflazione, l'Istat ci ha segnalato che, a Novembre, i prezzi al consumo sono scesi dello 0,4% rispetto al mese precedente, crescendo così solamente dello 0,1% rispetto a Novembre 2014.
La conseguenza immediata di questa inaspettata discesa è che il
target di inflazione 2015, fissata dal governo allo 0,3%, appare ormai molto difficile da raggiungere. E, purtroppo, il ritrovarsi ancora una volta al limite della deflazione non fa altro che confermare sia la rara vischiosità di questa crisi, sia la difficoltà dei nostri consumi a ripartire in assenza di concrete aspettative. Oltretutto, è necessario sottolineare che la
stagnazione di prezzi e consumi non può essere considerata come un problema solo italiano, in quanto la stessa si è ormai propagata a tutta l'area dell'Euro. Infatti, anche l'Eurozona ha evidenziato a Novembre un modestissimo incremento dei prezzi su base annua pari allo 0,1%, ben lontano dall'obiettivo del 2% individuato dalla BCE. Né si può far affidamento su una spinta derivante dal
prezzo del petrolio visto che, sia l'afflusso del petrolio iraniano, sia le
nuove politiche dell'OPEC, manterranno i prezzi del greggio a livelli decisamente contenuti almeno nel medio periodo.
Sempre a Novembre, l'Istat ci ha avvertito che, in abbinamento al
deciso calo dell'inflazione, anche la
crescita del nostro PIL nel terzo trimestre si è mostrata decisamente lenta. Infatti, come già emerso dai dati provvisori, la crescita italiana si è fermata a +0,2% rispetto al trimestre precedente con una variazione dello 0,8% rispetto all'analogo trimestre 2014. Qui i problemi sul tappeto sono almeno due. Il primo è un problema di differenziale: i nostri partner hanno infatti evidenziato, rispetto al corrispondente dato 2014, una vivacità del PIL molto superiore rispetto alla nostra (USA +2,2%, GB +2,3%, Germania +1,7%, Francia + 1,2%).
Ora, in questo scenario, il rischio reale che corriamo è che le nostre disfunzioni strutturali possano impedirci di agganciare una eventuale ripresa divaricando così il nostro trend di crescita da quello delle altre nazioni. Infatti, è evidente che, qualora rimanessimo fermi al palo di partenza, quel gap già esistente tra le nostre aziende ed i competitor esteri - derivante dalle tre variabili chiave
lavoro, energia e denaro - si amplierebbe notevolmente. E, tra le citate disfunzioni strutturali merita particolare attenzione il problema del fardello di
credito deteriorato che le nostre banche hanno in pancia a causa del perdurare dell'attuale crisi. Si tratta di circa 350 mld di credito “non performing”, di cui ben 200 mld di sofferenze, che non accenna a riassorbirsi e che costringe gli istituti ad implementare gli accantonamenti a fronte delle perdite attese a scapito delle risorse destinabili al sostegno del tessuto produttivo. Da evidenziare, inoltre, che in Italia questa massa di credito deteriorato è molto superiore rispetto a quello presente negli altri Paesi proprio perché gli impieghi delle banche italiane sono da sempre maggiormente rivolti al finanziamento delle imprese, mentre quelli delle banche anglosassoni sono indirizzati in massima parte verso la finanza.
Il secondo problema connesso al
rallentamento del nostro PIL è connesso, invece, al fatto che tutte le previsioni del Governo inviate a Bruxelles sono basate su una stima di crescita dello 0,9%. Purtroppo, per raggiungere questo target, sarebbe necessaria una crescita record nel quarto trimestre di almeno un 1%, mentre le previsioni indicano come molto probabile una crescita limitata allo 0,2%. Di conseguenza, molto verosimilmente, l'anno si chiuderà con un più modesto + 0,7% / 0,8%, dato che certo non ci aiuterà nel tentativo di strappare a Bruxelles deroghe di bilancio volte a stimolare la nostra crescita ancora asfittica.
E allora, ancora una volta, ci troviamo a dover confidare nell'
inventiva di Mario Draghi e nel
bazooka della BCE, sempre nella speranza che ci siano ancora molti colpi nel caricatore.
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