Novembre potrebbe essere denominato il mese della BCE visto che, in questo periodo, l'attore principale che ha dominato lo scenario internazionale è stato sicuramente l'Istituto di Mario Draghi. Infatti, innanzitutto, dopo una lunga attesa ed un pizzico di suspance, sono stati finalmente resi noti i criteri alla base del
check up che la BCE effettuerà sui maggiori istituti di credito europei prima di farsi carico, dal 2014, della vigilanza bancaria.
L'esame, che coinvolgerà circa 130 banche di cui 15 italiane, durerà circa un anno, e si articolerà in tre fasi:
la prima riguarderà una valutazione generale del rischio con particolare riferimento sia alla situazione di liquidità delle banche, sia al loro grado di leva finanziaria (rapporto tra debiti e patrimonio);
la seconda, molto delicata, riguarderà, invece, la verifica dell'attivo delle banche con spasmodica attenzione alla eventuale presenza di credito deteriorato occulto (asset quality review). Infine,
la terza, sarà quella dei famigerati "stress test" che verificheranno, simulando situazioni estreme, la capacità degli istituti di resistere a shock sistemici. Le danze avranno inizio lunedì 25 novembre con la convocazione all'Eurotower delle 15 banche italiane unitamente a quelle di Spagna, Grecia, Francia e Irlanda.
Ciò premesso, non è affatto detto che le banche italiane debbano, come profetizzato da Moody's, patire le pene dell'inferno durante il citato esame ed essere costrette a ricercare affannosamente nuovo patrimonio ad ogni angolo di strada. A questo proposito, ad esempio, un recentissimo studio di Banca d'Italia, che ha avviato delle simulazioni pre-esame, stima che
i nostri 15 istituti coinvolti nel check up in esame possano avere complessivamente bisogno di ulteriore patrimonio per 1,2 mld, cifra assolutamente gestibile senza sottoporre il nostro sistema bancario ad alcun stress sistemico.
Questo dato deriva essenzialmente dal fatto che una Banca d'Italia decisamente lungimirante ha imposto già da anni un progressivo rafforzamento patrimoniale dei nostri principali istituti che hanno portato, in media, il loro
Core Tier 1 ratio (rapporto tra patrimonio di prima qualità ed impieghi ponderati per il rischio) dal 7,5% del 2010 all'attuale 11%.
Analogamente il nostro Istituto Centrale ha già da tempo acceso un faro sul gravissimo problema della crescita del credito deteriorato derivante da una crisi che non sembra affatto intenzionata a mollare la presa. Da questo punto di vista una lunga serie di controlli ed ispezioni hanno imposto a numerosi istituti pesanti rettifiche a fronte delle perdite attese: ad esempio
Intesa ha incrementato gli accantonamenti a fronte del rischio di credito del 24% rispetto al dato 2012,
UBI del 15 % e
BPER di oltre il 50%.
Ma la BCE è tornata nuovamente alla ribalta anche il
7 Novembre 2013 quando ha tagliato inaspettatamente (e per la 5° volta consecutiva) il tasso di interesse principale portandolo allo 0,25%. Quest'ultimo intervento dell'Eurotower merita forse un paio di considerazioni in quanto ha generato più di una perplessità. Innanzitutto, l'impressione è che la "montagna abbia generato un topolino" in quanto, francamente, risulta difficile pensare che in presenza di una crisi come l'attuale, caratterizzata da tassi bassissimi e sintomi deflazionistici, una sforbiciatina al costo del denaro possa recare un qualsiasi beneficio al sistema economico - finanziario.
Infatti, non è affatto detto, come dimostrato dalla recente esperienza, che il
taglio dei tassi della BCE si traduca in una riduzione del costo del denaro per le aziende, come non è per nulla certo che il citato taglio possa indurre le società, finchè non muteranno le aspettative di medio periodo, a spingere sugli investimenti.
Parallelamente, a livello di privati,
non sarà certo l'interventino della BCE a stimolare una ripresa della spesa e dei consumi visto che, purtroppo, il problema non sta più nel pagare qualche Euro in meno sulla rata del mutuo, ma nel trovare un lavoro che consenta di non perdere la casa ampiamente ipotecata.
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