Forse, finalmente, almeno una parte dell'Europa si sta lentamente muovendo per spezzare quel circolo vizioso "
rigore - recessione - ulteriore rigore" che ci impedisce di uscire da questa crisi di rara durata e profondità. Il problema sta ora nel capire, da una parte, se questi tentativi siano troppo timidi e quindi destinati a non produrre effetti consistenti e durevoli e, dall'altra, se l'Europa teutonica riuscirà o meno a farli abortire sul nascere.
Il
primo di questi tentativi, entrambi venuti alla luce con maggior nitidezza a novembre, è costituito dalla rinuncia da parte della
Commissione di Juncker ad iniziare una crociata
contro i 7 Paesi "non osservanti" capitanati da Italia e Francia. Il secondo, invece, dal varo del "Piano Juncker" che dovrebbe generare investimenti pubblici e privati per oltre 300 mld di Euro.
Ragionando sul primo punto, l'atteggiamento più prudente e moderato assunto della Commissione nei confronti di Italia e Francia appare decisamente lungimirante in quanto ha evitato di mettere i due Paesi con le spalle al muro. Sia il premier Renzi che il Governo francese hanno puntato moltissimo in patria sulla assoluta necessità di sostituire ad un rigore di stampo prussiano
un rigore attenuato e sostenibile prospetticamente. Spingere questi governi all'angolo, bocciando le loro leggi di stabilità ed imponendo nuove manovre restrittive, avrebbe sicuramente generato, nell'impossibilità per questi ultimi di fare marcia indietro sul fronte interno, una reazione scomposta destinata a minare il concetto stesso di "
fiscal compact".
Ciò detto, rimane il fatto che la Commissione non ha in alcun modo preso una posizione nitida a favore di un allentamento della morsa rigorista, ma si è limitata a non fare esplodere il caso rimandando a Marzo l'esame della situazione dei due Paesi inquisiti e l'irrogazione di eventuali sanzioni. Dunque
siamo ben lungi da una svolta espansiva, tuttavia, considerando le pressioni tedesche per una rigida interpretazione dei trattati, la posizione attendista della Commissione può essere considerata come un accettabile punto di partenza verso un nuovo corso.
Il
secondo tentativo volto a dare una svolta espansiva alle politiche economiche europee è costituito dal cosiddetto "
Piano Juncker". La volontà è quella di far decollare al più presto il
Fondo Europeo per gli investimenti strategici (EFSI) che, partendo da una dotazione iniziale di circa 20 mld di Euro possa attrarre investimenti privati e pubblici in grado di finanziare progetti per oltre 300 mld di Euro e generare oltre 1 milione di nuovi posti di lavoro. Gli interventi del nuovo fondo (la cui dotazione iniziale sarà a carico della BEI ed ella Commissione) saranno rivolti essenzialmente a progetti ad alto valore aggiunto rientranti nei settori dei trasporti, delle infrastrutture, delle energie rinnovabili, con particolare attenzione ai progetti presentati dalle PMI.
Anche in questo caso l'idea di imprimere una brusca accelerazione alla stagnante economia europea appare più che condivisibile anche in relazione alle ultime proiezioni sulla crescita. L'
OCSE, ad esempio, nel suo ultimo report, parla di una "
stagnazione persistente" e di una Area Euro che ostacola la crescita globale, mentre la
BCE ha appena ridotto le sue stime sul PIL 2015 dal +1,5% di settembre all'attuale + 1,2%. Tuttavia il successo dell'iniziativa non dipenderà né dall'abbondante liquidità in circolazione, né dall'egida protettiva della Commissione Europea, ma solamente dalle aspettative che mercati ed investitori nutriranno sulla capacità dell'Euro di tirarsi fuori, al più presto, da stagnazione e deflazione.
E su questo fronte, almeno fino ad oggi, si è fatto decisamente troppo poco.
"
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