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La durezza dei dati

Spendiamo perché siamo felici o perché siamo infelici?


La seconda ragione di cautela è che negli ultimi anni è andata crescendo la quota di dati soft rispetto a quella dei dati duri. I dati soft, come le indagini sulla fiducia delle imprese e dei consumatori o gli indici di diffusione (come quelli in cui si chiede alle aziende se sono andate meglio o peggio rispetto al mese precedente) aggiungono colore, ma non sono necessariamente affidabili. Per cominciare, sempre meno imprese (ormai meno della metà) rispondono ai questionari. Poi si è scoperto che non c'è una correlazione tra stato d'animo e comportamento. Ci si può dichiarare pessimisti sul futuro e spendere lo stesso molto in consumi, ad esempio, oppure vedere rosa e dichiararsi ottimisti e allo stesso tempo, proprio per questo, fare meno acquisti consolatori.

Si è poi notata una crescente influenza dell'orientamento politico sulle risposte ai questionari. I consumatori repubblicani, in questo momento all'opposizione, sono molto pessimisti, i democratici sono invece più soddisfatti. Qui non è chiaro, e non lo sarà mai, se sia la scelta politica a determinare il grado di fiducia o viceversa.

La scoperta più recente, segnalata da Jim Bianco, è che l'indice delle sorprese positive o negative, che mette insieme dati duri e dati soft e che è sempre più guardato dai mercati, dà negli ultimi tempi risultati molto diversi se si scorporano i dati soft e si guardano solo i dati duri. Questo indice, lo ricordiamo, ha registrato quest'anno un'ampia prevalenza di sorprese positive. Nelle ultime settimane l'indice si è però bruscamente indebolito. C'è ancora una prevalenza di sorprese positive, ma la differenza tra dati attesi e dati effettivi si è molto ridotta.

Questo ha confermato nei mercati il sospetto che sia in corso un brusco rallentamento della crescita americana e ha spinto al rialzo i corsi dei bond lunghi. Se però si scorporano i dati duri dall'indice delle sorprese, si scopre che questi sono ancora molto positivi. A diventare negative sono solo le sorprese sui dati soft.

Da questa rassegna risulta come sia difficile leggere in questa fase la realtà presente e, ancora di più, prevederne l'evoluzione. È difficile anche per le banche centrali, che dopo anni passati a coltivare la guidance (ovvero a prendere per mano i mercati e guidarli nella direzione desiderata), comunicano oggi tutte quante un grado elevato di incertezza. Affermando di essere dipendenti dai dati che usciranno di volta in volta, le banche centrali si espongono all'accusa di guidare guardando lo specchietto retrovisore e di non avere strategia, perché i dati fotografano il passato, non il presente e tantomeno il futuro.
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