Certo, è un po' sospetto che le argomentazioni adottate per sminuire la rilevanza del dato in questione, come ad esempio i fattori di destagionalizzazione o il ritardo implicito nei dati che vengono aggiornati solo una volta all'anno (come il costo delle assicurazioni mediche) fossero stati tranquillamente ignorati altre volte. Ma questo è il bello dei mercati, che non sono una scienza esatta.
Restano una conferma e una riflessione. La conferma è che l'inflazione, non la recessione, è il possibile guastafeste dal quale devono guardarsi i mercati nei prossimi due anni. Un'inflazione che dovesse stabilizzarsi al 3 per cento senza scendere al 2 non sarebbe certo una tragedia e verrebbe accettata da mercati che hanno appena finito di convivere con livelli anche superiori al 10 per cento, ma renderebbe particolarmente caute le banche centrali sui prossimi tagli dei tassi. Paradossalmente sarebbe più cauta la Bce, nonostante la debolezza della crescita europea, della Fed. Quest'ultima può infatti tagliare i tassi giustificandosi con l'aumento della produttività americana, un argomento che, nell'Europa in cui permangono le tensioni salariali e in cui la crescita della produttività è bassa, non può essere utilizzato.
La riflessione è che all'attenzione esasperata dei mercati ai dati puntuali sull'inflazione non corrisponde una volontà di approfondire come meritano le questioni strutturali che decideranno dell'inflazione nei prossimi anni, sia macro (l'influenza delle politiche fiscali espansive sui prezzi) sia micro.
Tra le questioni micro ne citiamo in particolare due, tra loro collegate, ovvero quella della costruzione di filiere produttive regionali parallele là dove c'era un'unica filiera globale da una parte e il protezionismo dall'altra.
In prima battuta, il fatto che Cina, America ed Europa vogliano tutte avere una loro industria domestica, anche sovvenzionata da denaro pubblico, in un numero crescente di settori fa pensare alla possibilità, tra pochi anni, di un eccesso di offerta e a prezzi in conseguente ribasso. Si pensi ai semiconduttori, alle auto elettriche, alle batterie. Ma anche all'industria militare fino a ieri spesso dipendente da componenti importate. Non ci saranno, a un certo punto, troppi semiconduttori così come, già oggi, sembrano esserci troppe auto elettriche rispetto alla domanda? Dopo tutto, come ha notato Nassim Taleb, se a una fase di sovrabbondanza non segue necessariamente una fase di scarsità, è invece sempre vero che a una fase di scarsità segue inesorabilmente una fase di sovrabbondanza di offerta.
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