Joseph Wang, un ex Fed, nota che dopo il voto ci potrà essere un calo di fiducia da parte delle imprese perché, in questo clima surriscaldato, la metà che perderà le elezioni riterrà che si avvicini la fine del mondo. Se vincerà Trump, gli investitori stranieri, che hanno in portafoglio il 20 per cento della borsa americana, ridurranno la loro esposizione per timore di una forte discesa del dollaro e di un atteggiamento ostile verso alcuni dei Magnifici Sette. Se vincerà la Harris, il forte inasprimento della pressione fiscale sui profitti e sui capital gain gelerà gli investitori domestici.
È una lettura a tinte forti, ma prenderla in considerazione è utile per allenarsi a pensare al 5 novembre come a una cesura e a non prolungare all'infinito il nirvana in cui siamo immersi oggi.
Dopo il nirvana,
la fase nuova che si aprirà, pure in tutta la sua incertezza, non sarà necessariamente preoccupante. La robusta put della Fed, la rete di protezione stesa sotto l'economia e i mercati e fatta di continui tagli dei tassi, sarà comunque in funzione per tutto il 2025. Sarà più o meno alta a seconda di chi vincerà, ma non sarà troppo lontana dal livello in cui volteggeranno le borse. La politica fiscale rimarrà largamente espansiva, forse più di ora.
L'azionario avrà da preoccuparsi seriamente solo in caso di recessione, una circostanza, come abbiamo visto, che al momento appare remota. I bond brevi avranno dalla loro le banche centrali. Certo, molto è già nei prezzi, ma c'è ancora spazio.
Più incerto si presenta il destino del dollaro e quello dei bond lunghi. Li si può mantenere come copertura dai rischi geopolitici (il dollaro) o dai rischi di recessione (i bond lunghi), ma in circostanze normali la loro performance sarà subottimale. Del resto, per i rischi geopolitici funzionerà probabilmente meglio l'oro, e per quelli di recessione sarà sufficiente acquistare a leva i governativi di qualità brevi.
(Foto: @ Shutterstock)
"