Lo scenario di base rimane però, a nostro avviso, quello di un'amministrazione che incanalerà la sua energia nel tentativo di forzare una crescita della produttività. Le strada facile di crescere con il disavanzo pubblico è preclusa dai mercati che, in presenza di una Fed non trumpiana, tornano ad assumere la loro funzione di vigilantes. L'altra strada, quella di crescere poco in stile anni Dieci, è estranea alla nuova amministrazione e sarebbe vissuta come una pesante sconfitta. Resta allora, se si vuole crescere senza troppa inflazione e senza troppo disavanzo, la strada della deregulation.
Per il resto, lo spazio non è molto.
Fino a metà 2026 la Fed sarà poco collaborativa. Il Congresso repubblicano lo sarà di più ma non di molto, sia perché molte riforme richiedono una maggioranza qualificata che non esiste sia perché la piccola componente di repubblicani non trumpiani sarà comunque sufficiente a bloccare le iniziative più aggressive. Dal 2026 la Fed, con le nuove nomine, avrà un profilo più collaborativo, ma in compenso la camera bassa tornerà probabilmente ai democratici.
Trump guarda molto la borsa e Musk la guarda ancora di più. È significativo, anche se i mercati non lo hanno notato molto, che il compromesso raggiunto in Congresso per alzare il tetto sul debito sia stato bloccato da Trump perché contiene spese discutibili. Trump rischia l'arresto di alcune attività della pubblica amministrazione, che è sempre impopolare, perché vuole rassicurare i mercati sulla sua intenzione di contenere il disavanzo pubblico.
La volatilità di queste ore ha anche ragioni tecniche (scadono, da qui a fine anno, opzioni di ogni genere) ma va vista come un segnale a un mercato che si stava cullando nell'idea di una piacevole Goldilocks permanente. In realtà il 2025 sarà un anno complicato per Wall Street. In compenso sarà positivo per Main Street, ovvero per l'economia reale.
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