Il voto americano di novembre avrà potenzialmente più conseguenze. Ci sarà prima di tutto una fase transitoria in cui lo schieramento sconfitto rifiuterà di riconoscere la legittimità formale e politica della vittoria dello schieramento avversario. Poi l'attenzione si sposterà sui programmi di politica fiscale e sulle politiche commerciali. Anche qui valgono però le avvertenze che abbiamo visto nel caso francese. Prima di tutto è abbastanza improbabile una vittoria piena che includa la Casa Bianca e i due rami del Congresso e senza una vittoria piena qualsiasi programma verrà depotenziato. In secondo luogo, anche in caso di vittoria piena vedremo verosimilmente un mantenimento degli attuali elevati livelli di disavanzo, non un loro ampliamento ulteriore.
Quanto alle guerre in corso, la situazione non è rassicurante, ma il deterioramento non sembra ancora debordare in salti di qualità non controllabili.
In Ucraina nessuno intende cedere e nessuno può cedere. La logica che si è messa in moto è quella dell'escalation, a tratti inquietante sul piano verbale ma ancora lenta e controllata sul piano pratico.
Nel Levante si profila un secondo fronte di conflitto tra Israele e Hezbollah. La temperatura sale ininterrottamente da sei mesi ma anche qui, per il momento, non sono ancora visibili accelerazioni improvvise.
Lo stesso si può dire sul fronte del Pacifico. Tutti i paesi della regione continuano a prepararsi a un possibile conflitto rafforzando le alleanze militari e riarmandosi, ma tutto viene mantenuto sotto controllo.
In sintesi, è sbagliato pensare che il rialzo degli asset finanziari abbia necessariamente davanti a sé una strada lunga e tranquilla. Si naviga a vista e lo si dovrà fare sempre di più nei prossimi anni. Per ora, tuttavia, il quadro di breve termine appare ancora tale da farci rimanere pienamente investiti.
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