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Main Street

Il 2025 sarà meglio per l'economia che per i mercati

Il problema dei mercati è che non hanno ancora preso le misure della nuova amministrazione Trump. Per un mese, dopo le elezioni, si è provato a esaltarne gli aspetti favorevoli alla crescita. Si è sottolineata la volontà di abbassare le tasse, di attuare una deregulation aggressiva, di aumentare la produzione di combustibili fossili e di reindustrializzare l'America anche attraverso l'imposizione di dazi elevati sulle importazioni.

Ora invece i mercati si accorgono dei rischi di ripresa dell'inflazione, che è già adesso un po' più alta degli obiettivi ufficiali e che alcune misure che la nuova amministrazione annuncerà non appena insediata potrebbero rendere ancora più vivace. Il controllo dell'immigrazione renderà infatti meno fluido il mercato del lavoro, alimentando l'inflazione salariale, mentre i dazi, a loro volta, faranno lievitare i costi di molte componenti industriali.

Queste due visioni sono teoricamente riconciliabili in una narrazione che giudica positivamente il trade off tra una crescita che si mantiene forte e il prezzo modesto di qualche decimale di inflazione in più. In questo caso avremmo una riedizione del 2021, un anno estremamente positivo per le borse e neutrale per i bond.

C'è però un punto potenzialmente debole in questa narrazione, ovvero la Fed. Nel 2021 la Fed era apertamente e nettamente schierata per la crescita, anche a costo del surriscaldamento, e ignorava volutamente l'inflazione che stava salendo. Nel 2025, come abbiamo cominciato a vedere dal Fomc di ieri, la Fed avrà un atteggiamento diverso, che in certi momenti ricorderà quello che ebbe nel 2018.
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