La
volatilità dei Treasuries sta del resto diventando strutturale. Il passaggio dal paradigma disinflazionistico del decennio scorso a quello reflazionistico dei tempi nostri continua a tradursi in grandi e rapide oscillazioni di prezzo. C'è nel mercato una sorta di radicalizzazione tra due partiti. Da una parte, quelli che vedono negli ultimi quattro anni un'anomalia che sta già rientrando e che quindi offrirà grandi opportunità a chi si posiziona sul tasso fisso a lungo. Dall'altra c'è chi crede nel formarsi di una nuova normalità fatta, per citare il Jamie Dimon di oggi, di grandi disavanzi pubblici, di riarmo, di guerre commerciali, di transizione energetica e di grandi infrastrutture.
Oggi il decennale americano al 4.35 offre ancora un buon rendimento, ma con un'inflazione al 3.5 (come calcolata da Jason Furman come media delle medie a 3, a 6 e a 12 mesi) non offre grandi opportunità di capital gain se non in uno scenario di significativo rallentamento.
È possibile questo rallentamento? I segnali, per ora, sono contraddittori. Sono due mesi che i dati macro americani sorprendono in senso negativo, ma l'economia rimane comunque strutturalmente sostenuta da condizioni finanziarie favorevoli (borsa e bond forti) e dalla consapevolezza che la Fed non esiterà a tagliare i tassi se al passaggio dal caldo al tiepido che stiamo vedendo seguirà qualche segnale effettivo di freddo.
In pratica, l'investimento migliore in termini di rapporto tra rischio e rendimento rimane probabilmente il due anni acquistato a leva (rende il 4.78) accompagnato da un'esposizione neutrale di borsa con sovrappeso interno sui titoli difensivi e un'ampia diversificazione su Europa e Asia.
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