Con una
classe dirigente responsabile, onesta, di buon senso e non fatua, piena di slogan, le riforme istituzionali non sono un problema, come ci hanno dimostrato i padri costituenti che hanno rimesso in carreggiata un Paese dissolto dalla guerra. Il dibattito sulle eventuali riforme deve ripartire da un serio e approfondito esame di “autocoscienza” sui valori fondanti una società. Come sostenevano i nostri anziani, non si mette il vino nuovo nelle botti vecchie o potremmo dire “non si cuoce il pane con le riforme del Senato o le altre senza una visione di dove vogliamo andare”.
Non abbiamo ancora deciso quale
assetto istituzionale – centrale o federale – deve avere questo Paese e siamo sempre in mezzo al guado, con un
patto di stabilità asimmetrico al Paese e pensato su Marte. Ma se non definiamo a monte l'assetto istituzionale e organizzativo del Paese da tendere e il ruolo che vogliamo vivere in un contesto globale in rapida evoluzione, come possiamo pensare che le riforme a valle risolvano i problemi. Noi non governiamo il vento, perché siamo solo una tessera di un puzzle globale in cui si vanno definendo equilibri diversi e conflittuali. Possiamo solo governare le vele, ma se non facciamo nemmeno quello rischiamo il naufragio. Le responsabilità, sia pure a livelli diversi, sono di tutti e nessuno si può sottrarre agli errori commessi. La presa di coscienza dei problemi morali è, direbbe
Immanuel Kant, un imperativo categorico, perché non possiamo tradire i sacrifici dei nostri vecchi e le speranze dei nostri giovani.
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