Un altro tema su cui arrivare preparati al voto è il petrolio, centrale per la determinazione dei livelli d'inflazione. Verosimilmente la Harris, nonostante i suoi pronunciamenti passati contro il fracking, confermerà la linea di Biden favorevole a mantenere ampi livelli di estrazione di fossili. Trump, dal canto suo, si profila ancora più aggressivo. Da come parla, scaverebbe un pozzo anche nella Stanza Ovale se ci fosse una goccia di petrolio nel sottosuolo. Questo atteggiamento induce alcuni ad anticipare un buon andamento dei titoli petroliferi, che potrebbero produrre dappertutto a volontà. Niente di più sbagliato. In un mondo che ha fin troppo petrolio e in cui la domanda cinese si orienta sempre più verso il gas per i mezzi pesanti e verso il carbone per le auto elettriche, produrre più petrolio farebbe scendere il greggio verso i 50 dollari e ridurrebbe i margini delle società petrolifere.
Si potrebbe quindi vendere petrolio in caso di rialzo dopo una vittoria di Trump, se non fosse che dopo il voto diverrebbe inevitabile l'atteso attacco israelo-americano all'Iran. La richiesta americana di non colpire le installazioni petrolifere iraniane vale probabilmente fino al voto e, in ogni caso, non va presa alla lettera.
Terminata la fase delle reazioni immediate al voto, entreremo nel lungo interregno che terminerà a fine gennaio con l'insediamento della nuova amministrazione e del nuovo Congresso. Poi comincerà la fase di 18-20 mesi in cui la nuova amministrazione sarà più produttiva.
In caso di vittoria parziale, i contrappesi tra Casa Bianca e Congresso limiteranno l'azione di Trump ai dazi e all'immigrazione e quella della Harris alla politica estera. Ma anche in caso di vittoria completa, come fu il caso di Obama nel 2008 e di Trump nel 2016, dopo due anni, solitamente, viene persa almeno una camera.
È poi una legge della politica che le maggioranze ampie o complete generano divisioni interne (come abbiamo visto nel caso recente dei conservatori inglesi) e stimolano i centristi ad alzare il prezzo della loro collaborazione e a rifiutare le proposte più radicali (come è stato il caso di Manchin e Sinema nel Senato uscente).
Tutto resta dunque complicato e induce a non reagire eccessivamente alle novità che si profilano all'orizzonte.
Rimane decisivo, di fondo, un atteggiamento generale pro-crescita che continua a farci preferire le borse rispetto ai bond lunghi.
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