Al Sud, invece, chi per generazioni è stato sottoposto alla schiavitù della rendita ha sviluppato una dimensione culturale che lo vuole proteso ad emanciparsi diventando a sua volta un piccolo o grande rentier. Per lui la ricchezza non si crea ma è immanente ovvero legata al godimento di beni o prerogative che rendono (terre, diritti reali quali il passo o l'emungimento ecc.) e si tratta solo si averne una parte. Questa è la sindrome che la gente del Sud ha sviluppato nei secoli e che ancora oggi ne condiziona le scelte.
Il lascito di questa cultura si è trasformato non tanto nella filosofia interna, ma nelle modalità con cui può essere esercitata – una rendita, un posto fisso, l'assurgere a notabile o politico, occupare un'area di potere all'interno di un consenso locale anche piccolo, un parco eolico o fotovoltaico, una concessione, una esattoria ecc. – invece di partecipare in una dimensione creativa e collaborativa al mercato.
La cultura contadina in Italia è la matrice prima e se si sovrappone il paesaggio rurale italiano dei primi del '900 compilato come funzione del tipo di rapporti di coltivazione si ottiene una ripartizione geografica identica a quella dell'associazionismo, del volontariato, del credito cooperativo, di cui si era fatto cenno in un precedente lavoro del sottoscritto (
La collaborazione competitiva, Bocconi, 2011). La cultura ed il comportamento di un popolo sono sempre il risultato di storie millenarie.
Alla fine della guerra la formazione repubblicana del paese, con storie diverse, viene consacrata con l'enunciato costituzionale in cui si affermano i principi sostanziali e si riconosce la composizione di un governo rispettoso delle autonomie locali, che, nelle regioni del Nord, hanno fatto la storia di quei territori. Il boom economico del dopoguerra ha favorito una crescita tumultuosa da una situazione di tragica povertà ad un più diffuso benessere; mentre
l'operosità del Nord si fondava su un tessuto artigianale di piccole e medie imprese derivante da una cultura agricola che aveva già sperimentato questo sviluppo, il Sud scontava una storia che non aveva fatto crescere in pari modo un'imprenditorialità diffusa, come sopra evidenziato nel mondo agricolo. La ricchezza creata nei territori del Nord consentiva di ridurre la distanza tra le aree del paese attraverso una politica di trasferimenti e di investimenti industriali con un modello poi definito delle "cattedrali nel deserto" destinato a fallire perché non coerente con la storia millenaria di quei territori; infatti avrebbe continuato a perpetrare il modello culturale del latifondo e del bracciantato con tutte le sue conseguenze che vediamo ancora adesso.
La sfida di trasformare una collettività con tradizioni culturali agricole in una collettività di operai industriali era una sfida, persa, contro la storia e la tradizione. Così si faranno impianti siderurgici, tipici dell'alta Slesia sulla costa calabra in riva al mare distruggendo una famosa piana degli ulivi (Gioia Tauro), si farà uno stabilimento automobilistico su una delle più belle spiagge della Sicilia (Termini Imerese) come si sarebbe potuto fare a Stoccarda ma vicina invece alla valle d'oro così chiamata per la ricchezza dei suoi agrumi; si è costruita un'acciaieria a Brindisi di fronte allo stupendo mare pugliese di cui vediamo oggi la situazione di default.
Si è preteso di trasformare una millenaria cultura agricola in una metallurgica nel giro di una generazione: i risultati si vedono.
"