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Storia, arte e tecnologia avanzata: a Lecce anteprima assoluta di "Legni preziosi"

Raffaele Casciaro, Professore ordinario di Museologia e Storia della Critica d'Arte e del Restauro dell’Unisalento, racconta il delicatissimo restauro di "Legni preziosi"

Cultura, Economia
Storia, arte e tecnologia avanzata: a Lecce anteprima assoluta di "Legni preziosi"
(Teleborsa) - Tre importanti sculture in legno policromato di età barocca sono state restaurate dal centro M.O.S.A.I.C. (MultidisciplinaryOrganization for Studying and Analyzing materials in Art and Conservation), nato dalla collaborazione dell’Università del Salento con il Polo Bibliomuseale della Puglia e la Provincia di Lecce. La prima fase di questa collaborazione è stata ospitata dal laboratorio di restauro del Museo Castromediano, in attesa che il Centro si insedi nell’ex Convento dei Domenicani di Cavallino. Le tre opere, finora non esposte al pubblico, provengono da luoghi di clausura monastica: un busto di Ecce Homo e un Sant’Onofrio dal Monastero delle Benedettine di Lecce e un altro Ecce Homo da quello delle Clarisse di Nardò.

Un’occasione unica, questa, per scoprire il Barocco meridionale: la mostra in anteprima assoluta di "Legni preziosi" è ospitata dal 21 novembre e fino al 18 dicembre con uno sguardo inedito sull’arte e la spiritualità del Sud Italia, e celebra non solo il patrimonio artistico, ma permette al pubblico di ammirare per la prima volta questi tre pezzi emblematici, che svelano la ricchezza culturale e devozionale della stagione barocca a Lecce.

Prof. Casciaro, come nasce il progetto “Convergenze Interdisciplinari” e quale ruolo hanno giocato le collaborazioni tra Soprintendenza, CNR ISPC e Università del Salento nello sviluppo e nella realizzazione del restauro delle opere esposte?

Il progetto nasce in seguito alla costituzione del centro di studi M.O.S.A.I.C. (Multidisciplinary Organization for Studying anche Analizing materials In art and Conservation). Si tratta di un progetto finanziato dal Piano Nazionale della Ricerca che vede come capofila l’Università del Salento e come partners il Polo Bibliomuseale della Puglia e la Provincia di Lecce. La prima attività realizzata dal Centro è proprio il progetto “Convergenze interdisciplinari”, che ha avuto come obiettivo riunire più istituzioni e più competenze intorno allo studio e al restauro di alcune sculture inedite. Le opere in questione sono peraltro di proprietà di monasteri femminili di clausura e non erano quindi esposte al pubblico. Le Benedettine di Lecce e le Clarisse di Nardò, che hanno concesso il prestito in cambio del restauro, si sono impegnate a rendere fruibili le opere dopo la mostra in spazi predisposti all’interno dei rispettivi monasteri. Le analisi sui materiali hanno coinvolto il CNR ISPC che ha effettuato le analisi stratigrafiche, il Laboratorio di Archeobotanica del Dipartimento di Beni Culturali di Unisalento che ha eseguito le analisi dendrologiche e lo Studio Radiologico Quarta Colosso di Lecce che ha eseguito le TAC. Tutte le operazioni sono avvenute sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP delle province di Brindisi e Lecce. Gli interventi di restauro sono stati realizzati da personale specializzato contrattualizzato da Dipartimento di Beni Culturali di Unisalento e gli spazi in cui sono avvenuti concessi dal Polo Bibliomuseale e dalla Provincia di Lecce.

In che modo “Legni Preziosi” rappresenta un esempio pratico della terza missione delle università, ossia la valorizzazione del patrimonio culturale in un’ottica di inclusione sociale e condivisione dei risultati della ricerca con il pubblico?

Il patrimonio artistico del territorio fa parte da sempre della nostra attività di ricerca universitaria e ha visto già in passato nella collaborazione con le istituzioni museali un suo esito naturale. Vedere oggi coinvolte tutte le istituzioni citate ma anche gli enti ecclesiastici, oltre ad un laboratorio radiologico privato, significa aver instaurato un rapporto di collaborazione che tocca diversi ambiti sociali. Oltre alla pubblicazione degli esiti della ricerca su riviste scientifiche, abbiamo deciso di rendere pubblico il risultato delle ricerche attraverso una mostra nel museo più importante della città, esponendo le opere restaurate in un’ampia sala della collezione permanente, accompagnate da apparati didattici e da un video in cui si possono seguire le varie fasi del restauro. Abbiamo affidato ad una qualificata agenzia la comunicazione del progetto e dell’evento espositivo, che sta godendo di un’ampia campagna informativa.

Quali tecnologie diagnostiche innovative sono state utilizzate durante il restauro delle sculture e come queste hanno contribuito alla comprensione storica e artistica delle opere?

L’uso della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) ci ha fatto comprendere la struttura costruttiva delle tre opere, rivelando specifiche tecniche di assemblaggio che ci aiutano a risalire alle botteghe che le hanno realizzate. Le analisi sui materiali pittorici usati per le policromie hanno permesso di individuare le decorazioni originali nascoste da strati di ridipinture. Per la rimozione di queste ultime, sono state messe a confronto diverse tecniche trovando per ogni caso la soluzione più idonea. In particolare, la vernice oleo-resinosa che ricopriva l’Ecce Homo delle Clarisse di Nardò si è potuta rimuovere tramite pulitura con metodo enzimatico. È stato applicato un detergente ecocompatibile, sotto forma di gel acquoso, con pH tra 6,5 e 7,5, a base di enzimi lipasi stabilizzati, che agiscono selettivamente solo verso la sostanza che si vuole rimuovere, senza aggredire e danneggiare la superficie e senza produrre esalazioni che possono essere nocive per gli operatori.

Il restauro dell’Ecce Homo ha rivelato una firma nascosta che ne ha svelato l’autore. Quanto è importante, secondo lei, l’interdisciplinarità tra arte, storia e scienza nella ricerca e nella valorizzazione del patrimonio artistico?

L’interdisciplinarità è oggi imprescindibile per raggiungere risultati affidabili sia nello studio sia nell’intervento di restauro. Le discipline a confronto si danno reciprocamente le controprove delle ipotesi formulate e dei dati emersi. Nel caso dell’Ecce Homo delle Benedettine di Lecce, la scoperta del cartiglio con la firma dell’autore ha fornito un dato nuovo e di grandissimo interesse, che conferma le ipotesi sull’ambito produttivo dell’opera che già emergevano dallo studio della tecnica e dello stile dell’opera. Le parallele ricerche d’archivio hanno contestualizzato le circostanze della commissione della scultura e della figura dell’artista, Diego Viglialovos.

In che misura il modello di collaborazione che ha caratterizzato il progetto “Convergenze Interdisciplinari” può essere replicato per altri progetti di ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale, e quali sono le sfide principali da affrontare?

Affermo un po’ presuntuosamente che le ricerche e i restauri sul patrimonio culturale andrebbero sempre affrontati come è avvenuto per il progetto “Convergenze Interdisciplinari”. Non saremmo potuti arrivare alle scoperte che oggi presentiamo senza il concorso di tutte le competenze che sono state coinvolte. Ritengo che la sfida principale oggi sia quella di trovare le risorse per condurre campagne di studio e di analisi che non trascurino i dati materiali e diagnostici e che li rendano fruibili attraverso una corretta archiviazione, ovviamente anche informatica. Per una conoscenza fondata e affidabile si devono poter confrontare i dati, che spesso sono difficili da reperire anche dove le analisi sono state eseguite. Un ultimo tassello, non secondario, è di fare buon uso della fotografia. Le fasi del lavoro di restauro sono state documentate da una dettagliata campagna fotografica con il coinvolgimento di un fotografo professionista.

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