Che Parigi e Berlino avessero idee completamente diverse sulle relazioni con la Turchia, soprattutto in vista del completamento della procedura di adesione di questa alla Unione europea, lo si era capito già nel 2010, quando
Sarkozy fece approvare la legge che vieta l'uso del burqa e del niqab in ogni spazio pubblico, incluse strade e piazze. Era una chiara provocazione, quella francese, lanciata contro Ankara. A nulla servì la reazione della Commissione europea, espressa da Viviane Reding, vicepresidente della Commissione con delega per la Giustizia dei Diritti umani, che annunciò l'avvio di una procedura di infrazione contro il governo francese per aver violato la Carta europea sui diritti fondamentali.
La
procedura di ingresso della Turchia nell'Unione europea, iniziata nel 2005 ed entrata subito in stallo a causa del suo intervento militare a Cipro, f
u bloccata definitivamente da Sarkozy nel 2011, quando affermò, nell'ambito di una intervista rilasciata al quotidiano turco Posta, nell'occasione del G20 organizzato ad Ankara, di "rimanere convinto del fatto che la Turchia e l'Ue devono intrattenere relazioni quanto più strette possibile, ma senza arrivare fino all'integrazione che non gioverebbe in realtà né alla Turchia né alla Unione europea". La reazione di Erdogan, furibondo per queste affermazioni, segnò la crisi dei rapporti con Parigi.
Per la Francia, accettare l'ingresso della Turchia nell'Unione europea avrebbe significato lasciar accrescere ulteriormente il peso della Germania: non solo in Europa, per via delle relazioni storicamente strettissime di Berlino nei confronti di Ankara sotto il profilo della proiezione strategica, dei rapporti commerciali e della presenza sul suolo tedesco della più rilevante componente di immigrati, ma a causa della proiezione neo-ottomana di Ankara nel Mediterraneo orientale, a discapito del ruolo che Parigi si è sempre ritagliata sin dai tempi dell'
Accordo Sykes-Picot, come Potenza di riferimento in Siria ed in Libano.
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