(Teleborsa) - La
Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia alla
Corte di giustizia dell'Unione europea per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri dell'UE in relazione alle
prestazioni familiari loro concesse, che costituisce una discriminazione e viola il diritto dell'UE in materia di coordinamento della
sicurezza sociale (regolamento (CE) n. 883/2004) e di
libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
Nel marzo 2022 l'Italia ha introdotto un nuovo regime di
assegni familiari per figli a carico ("Assegno unico e universale per i figli a carico"), in base al quale i lavoratori che non risiedono in Italia per almeno 2 anni o i cui figli non risiedono in Italia non possono beneficiare della prestazione.
La Commissione ritiene che tale regime non sia compatibile con il diritto dell'UE in quanto costituisce una
discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili dell'UE. Uno dei principi fondamentali dell'UE è quello della
parità di trattamento delle persone, senza distinzioni basate sulla
nazionalità. Secondo questo principio di base, i lavoratori mobili dell'UE che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale.
In base al principio della
parità di trattamento, i lavoratori mobili dell'UE che lavorano in Italia ma non sono residenti in Italia, quelli che si sono trasferiti solo di recente in Italia o quelli i cui
figli risiedono in un altro Stato membro dovrebbero beneficiare delle stesse prestazioni familiari concesse agli altri
lavoratori in Italia. Inoltre il principio dell'esportabilità delle prestazioni previsto nel regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di
sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale quali le prestazioni familiari.
La Commissione ha inviato una lettera di
costituzione in mora all'Italia nel febbraio 2023, cui ha poi fatto seguito un parere motivato nel novembre 2023. Poiché la risposta dell'Italia non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi della Commissione, quest'ultima ha deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Unione europea.