Si è avviata una distorsione che pare inarrestabile: la necessità di sostenere coloro che hanno redditi modesti viene soddisfatta riducendo le imposte ed aumentando i benefici pubblici. La pressione per ottenere incrementi salariali con i rinnovi contrattuali viene dirottata congiuntamente, sia da parte delle organizzazioni datoriali sia da quelle sindacali, verso la spesa pubblica: si procede così al taglio del cuneo fiscale o alla concessione di sempre nuovi servizi pubblici gratuiti, ma sempre a condizione che si rientri nel calcolo dell'ISEE che non è determinato su base personale ma familiare.
I sindacati si trasformano così in agenzie per ottenere le agevolazioni pubbliche.
Di recente, si è proposto di escludere dal computo dell'ISEE gli investimenti in titoli di Stato fino a 50 mila euro: ci si è accorti che i limiti patrimoniali erano troppo bassi o forse si è cercato di ricompensare il "
Bot People".
Sarebbe opportuno ripensare questi meccanismi, che incentivano il "lavoro povero" e soprattutto il "lavoro nero": nelle condizioni attuali, aumentare il proprio reddito o farlo emergere significa perdere tutti i benefici finora garantiti.
E' stata costruita una sorta di gabbia socio-economica fondata sull'ISEE, che non si può né allargare perché salterebbero in aria i conti pubblici, né restringere perché la sopravvivenza di molte famiglie dipende dai benefici di cui ora può disporre.
Bisogna cambiare il paradigma della crescita, basandola sull'aumento della produttività e dunque sugli investimenti delle imprese e non più sulla competitività di prezzo e dunque sui bassi salari: occorre premiare la creazione di valore aggiunto.
Una gabbia di benefici e di prestazioni sociali da cui non conviene uscire ISEE, un incentivo al "lavoro povero"?(Foto: © enzodeber / 123RF)
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