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Il reddito minimo dell'INPS non piace al governo

La proposta di garantire un reddito di 500 euro tagliando pensioni alte e vitalizi non convince il governo. MInistero Lavoro: "contributo utile, ma non applicabile per il costo sociale".

Economia, Welfare
Il reddito minimo dell'INPS non piace al governo
(Teleborsa) - La proposta dell'INPS di istituire un reddito minimo attingendo ai redditi dei più ricchi non convince il governo Renzi, che la ritiene una mossa "impopolare", almeno per il momento.

La proposta non convince neanche i politici, come confermano i commenti del Presidente della Commissione Lavoro alla camera, Cesare Damiano, che ha invitato l'INPS a fare il suo lavoro, non proposte di legge.

L'Istituto di previdenza si è fatto promotore di una proposta, per garantire maggiore equità al sistema e combattere la povertà. Oltre alla proposta di istituire un reddito minimo di 500 euro per gli over '55 (che scenderà a 400 euro nel 2016 e 2017), la proposta di legge, che si sviluppa in 16 articoli, riprende in mano anche il tema della flessibilità delle pensioni ed il riallineamento delle pensioni dei sindacalisti.

Le risorse per finanziare il reddito minimo saranno reperite tagliando gli assegni di circa 250 mila pensionati più ricchi (che rappresentano circa il 10% della popolazione con redditi più alti) e riducendo circa 4 mila vitalizi (che garantirebbero una somma di almeno 87 milioni di euro). In generale, l'Istituto prevede che la riforma valga 150 milioni nel 2016, 1 miliardi nel 2017 e 2,5 miliardi nel 2018 e 3 miliardi nel 2019 e 2020.

Una scelta che appare certamente equa, secondo fonti del Ministero del Lavoro, che la considerano "un contributo utile", ma anche difficile da attuare. "Contengono infatti misure - si sottolinea - che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi".

Oltre a questo, la proposta rispolvera il tema della flessibilità del sistema pensionistico, che era stata in un primo momento preannunciata dal Premier Renzi, poi accantonata ed esclusa dalla legge di stabilità. Il Presidente dell'INPS Tito Boeri si dice invece a favore di un sistema che consenta di andare in pensione a partire da 63 anni con un taglio non superiore al 10% della pensione in particolare la riduzione si applicherebbe alla sola parte calcolata con il sistema retributivo ed andrebbe a decrescere con gli anni, così da garantire tagli non superiori in media al 10-11%.

Infine, l'INPS si preoccupa di riallineare le pensioni dei sindacalisti con distacco o aspettativa a quelle degli altri lavoratori, armonizzando così il trattamento loro riservato.






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