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La Grecia non accetta soluzioni “prendere o lasciare”

Economia, Politica
La Grecia non accetta soluzioni “prendere o lasciare”
(Teleborsa) - Il governo della Grecia ha detto che non farà marcia indietro sugli impegni elettorali che professavano la fine dell’austerità imposta ad Atene dall'Unione Europea, pur avendo consapevolezza che quella che resta è l’ultima settimana per cercare di evitare un doloroso default.

"Stiamo lottando per trovare un accordo nel reciproco interesse”, ha detto Nikos Filis, portavoce del gruppo parlamentare di Syriza, partito del primo ministro Alexis Tsipras. "Il mandato ricevuto dal popolo greco è quello di raggiungere un accordo per rimanere nell’euro zona, senza però forzare oltre modo sulle misure di austerità”.

I negoziati sono ad un punto morto e una valutazione approfondita della situazione verrà fatta a margine del vertice dei leader dell'Unione europea, che si terrà a a Riga, in Lettonia, il 21 e 22 maggio e a cui i leader greci non sono invitati.

Le cosiddette “red line” imposte a Tsipras, includono ulteriori tagli a stipendi e pensioni, sui quali 110 giorni di colloqui tra la Grecia e i suoi creditori non sono riusciti a produrre un accordo per sbloccare aiuti supplementari di 240 miliardi. Questo inopportuno braccio di ferro ha innescato per Atene una carenza di liquidità, tirando il Paese in una nuova recessione e rinnovando i dubbi sulla permanenza della Grecia nella zona euro.

“La situazione finanziaria della Grecia è grave e il paese, che non ha ancora presentato la sua lista di riforme, può ottenere solo un'altra tranche di aiuti al termine della prossima fase del suo programma riformatore”, ha detto il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, in una intervista rilasciata al quotidiano tedesco Bild.

“La Grecia non accetta proposte "prendere o lasciare” e la questione di un referendum nazionale sulle riforme verrà considerata se i creditori imporranno un ultimatum”, ha detto Nikos Filis, portavoce di Syriza.

Una uscita della Grecia dall'euro costituirebbe una sfida politica e non più economica, all'intero progetto europeo, perché nessuno avrebbe fiducia nell'Europa se nella prima grande crisi comunitaria, un membro dell’euro zona abbandonasse la partita.
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