(Teleborsa) - In questi giorni nel mondo della finanza non si parla d'altro che di Grecia e
quantitative easing. Non a torto: da una parte la Penisola ellenica, con la sua instabilità politica, sta minacciando nuovamente l'euro (anche se
questa volta si teme meno l'effetto domino).
Dall'altra lo
spettro della deflazione in Eurozona sta aumentando a dismisura le attese per il varo, da parte della Banca Centrale Europea, di un
programma di acquisto di titoli di Stato dei 19 Paesi che condividono la moneta unica.
Fino a qualche mese fa si sarebbe detto che l'unico ostacolo da superare, per il Presidente della BCE Mario Draghi, era l'
opposizione della purista Bundesbank.
Ora, però, c'è un altro
grande punto interrogativo: la
Grecia. E il motivo è presto detto: il prossimo
meeting di politica monetaria dell'Eurotower è il
22 gennaio, mentre le
elezioni anticipate nella Penisola ellenica cadono il
25 gennaio.
Secondo un crescente numero di economisti,
difficilmente la Banca Centrale annuncerà un'azione tanto cruciale a ridosso del voto in Grecia. Un voto che, tra l'altro, potrebbe sancire l'addio di Atene all'euro.
Inoltre, raramente le Banche Centrali adottano nuove policy a ridosso di importanti elezioni o eventi internazionali, ad esempio summit tra capi di Stato.
Ecco perché l'Eurotorre, tra poco più di due settimane, potrebbe limitarsi ad annunciare
misure tecniche su piccola scala, rinviando una decisione così importante a tempi più certi.