(Teleborsa) - Niente da fare per l'Argentina. Fallite anche le convulse
trattative last minute di ieri, il Paese latinoamericano è
andato in default per la seconda volta in 13 anni.
Ieri sera Standard & Poor's ha ufficialmente affermato che Buenos Aires è in
default selettivo, cosa che sicuramente farà alzare ancora di più i costi dei titoli di Stato argentini e aumenterà la pressione sulla già provata economia del Paese.
Tutto è partito dalla
sentenza choc di un Tribunale statunitense. Era novembre del 2012 quando un giudice di New York, Thomas Griesa, diede ragione a quei fondi hedge americani che rifiutarono di aderire alla ristrutturazione dei Tango bond avviata nel 2001, pretendendo il rimborso completo dei titoli argentini in loro possesso.
Griesa sentenziò che in caso di rifiuto da parte dell'emittente, all'Argentina sarebbero stati inibiti anche i regolari pagamenti a quei detentori che, invece, aderirono agli swap.
I fondi "ribelli" chiedono 1,5 miliardi di dollari sui 144 miliardi andati in default (i ribelli sono il 7%, i creditori che accettarono la ristrutturazione il 93%).
Da quel momento in poi Stati Uniti e Buenos Aires hanno combattuto una guerra di nervi e di Tribunali. A giugno la svolta perché Washington ha ricevuto il placet formale dell'
Alta Corte USA.
Quali saranno ora le prossime mosse dell'Argentina? La Nazione potrebbe essere costretta a svalutare la propria moneta per preservare le riserve in valuta estera (il peso ha già perso il 25% del proprio valore da inizio anno), cosa che potrebbe causare un'ulteriore accelerazione dell'inflazione, già su livelli stratosferici. Da rilevare che si tratta del
terzo default degli ultimi 25 anni.