Come se non bastasse, la
crisi dei migranti che provengono dall'Africa, mettendo in grave difficoltà l'Italia con arrivi mai così numerosi dalla Tunisia, ha dimostrato che anche l'Europa non ha la bacchetta magica. L'Accordo di cooperazione che era stato firmato a giugno scorso tra la Presidente della Commissione europea Von der Leyen ed il Presidente tunisino Saied non ha mai avuto attuazione, perché non c'è stata la necessaria unanimità tra i Paesi dell'Unione: alcune componenti politiche criticano aspramente la prospettiva di sostenere finanziariamente e politicamente un governo che si dimostra autocratico, e che conculca i diritti civili e le libertà democratiche fondamentali.
La
controversia diplomatica si è fatta via via sempre più aspra, arrivando al punto che è stato rifiutato il visto di ingresso in Tunisia ai componenti di una missione di europarlamentari che avrebbero dovuto incontrare sindacalisti ed esponenti della opposizione.
In pratica, è stato fatto un buco nell'acqua: la disponibilità dell'Italia a coinvolgere l'Unione nella gestione della questione dei migranti non ha sortito altro effetto concreto che quello di enfatizzarne la solitudine in campo internazionale.
Portare poi la questione all'Assemblea generale dell'Onu, per chiedere non tanto una solidarietà di facciata nei confronti dell'Italia ma un piano di intervento concreto,
ha dimostrato al mondo intero la palese debolezza dell'Unione europea: ognuno ha i suoi problemi da risolvere, spesso assai più gravi e complessi dei nostri.
Ci sono poi le vicende interne all'Unione da sistemare.
C'è ancora in ballo la
riforma del MES, che l'Italia è rimasta l'unica a non aver ratificato: Roma traccheggia vistosamente, per contrattare un Patto di Stabilità non punitivo nei suoi confronti. Ma, nel frattempo, Francia e Germania ci mettono sotto pressione sulla questione dei movimenti secondari dei migranti: mentre Parigi rafforza i pattugliamenti alla frontiera di Mentone, Berlino sospende le ricollocazioni volontarie.
L'esito delle
elezioni europee del prossimo giugno è ancor meno chiaro: le due grandi famiglie politiche tradizionali, i Popolari da una parte e la Sinistra con i Socialisti dall'altra, non sembrano in grado neppure stavolta di mettere insieme la maggioranza numerica necessaria per nominare la nuova Commissione. Nella scorsa tornata, furono determinanti i voti degli eletti italiani del Movimento 5 Stelle a consentire il superamento della impasse.
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