La
de-dollarizzazione è dunque un obiettivo strategico per tutti i Paesi che intendono sottrarsi a questo straordinario privilegio che ha la valuta statunitense. La Cina ha sempre avuto un'enorme attenzione sia al tasso di cambio con il dollaro che ai flussi di capitali verso l'estero in yuan: una rivalutazione della sua moneta avrebbe compromesso l'export ed una svalutazione la proficuità degli investimenti interni.
L'idea che i BRICS possano creare anche in prospettiva una moneta comune, come l'Euro, non ha il minimo fondamento: è una gabbia pericolosa e dannosa.
Il processo di de-dollarizzazione riguarda innanzitutto la creazione di infrastrutture tecnologiche ed amministrative alternative a quelle "occidentali" come lo SWIFT per le transazioni bancarie ed i circuiti di pagamento delle carte di credito.
In secondo luogo, si attivano processi di negoziazione commerciale in valute nazionali:
alla Russia fa comodo vendere petrolio alla Cina incassando yuan, perché si smarca dal dollaro ed acquisisce la valuta con cui può comprare direttamente merce cinese; lo stesso interesse ha la Cina, che usa valuta propria per comprare e vendere con la Russia. Lo stesso vale per la vendita di petrolio da parte dell'Arabia Saudita ed il commercio con l'Argentina, nella misura in cui non c'è bisogno di utilizzare i dollari per effettuare transazioni bilaterali.
In terzo luogo, si attivano
sistemi di swap bilaterale tra le Banche centrali dei Paesi: quella della Cina presta yuan alla sua corrispondente argentina, che li fornisce ai propri importatori per pagare la merce cinese; così come quella dell'Argentina presta pesos alla sua corrispondente cinese, che a sua volta li fornisce ai propri importatori per pagare la merce argentina. Se il commercio internazionale è bilanciato, alla fine del periodo è tutto già regolato.
In quarto luogo,
si attivano sistemi di finanziamento ad hoc: le banche di ciascun Paese si insediano nel Paese corrispondente per finanziare il commercio o gli investimenti, su base di reciprocità.
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