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BCE, tutto da riformare

Bolle azionarie, rendimenti negativi sui bond, spread alle stelle, denaro che defluisce dall'economia reale


Per evitare questa deriva, nel Trattato di Maastricht fu inserito un tetto al deficit pubblico al 3% del PIL, e l'obiettivo di un rapporto debito/PIL del 60%.

Mentre il problema dell'inflazione fu contenuto, se ne creò un altro: gli squilibri dei conti commerciali tra i diversi Stati non venivano più rilevati in quanto l'introduzione dell'euro a partire dal 2001 non rendeva esplicite le tensioni sul mercato dei cambi che caratterizzavano il sistema di relazioni basato sulle valute nazionali.

La BCE non ha minimamente monitorato questi squilibri: erano solo gli Stati da mettere in "manette". Il mercato si sarebbe autoregolato: certo, ma solo quando gli squilibri sarebbero divenuti insostenibili, attraverso crisi devastanti.

Paesi come la Grecia si indebitavano all'estero vorticosamente, finanziate dai Paesi con cui avevano il deficit commerciale e finanziario: pagavano ricchi interessi su questi prestiti, fino al default. Le banche spagnole si facevano prestare fondi da quelle tedesche e francesi per investimenti immobiliari colossali, finché non scoppiò la bolla che fece fallire le banche spagnole. Eppure, lo Stato spagnolo aveva un debito irrisorio, che arrivava appena al 30% del PIL: gli squilibri si erano solo spostati.

Come se non bastasse, le banche tedesche avevano investito i loro attivi in titoli americani che avevano come sottostante mutui immobiliari: le tristemente note Mortgage Asset Security's. Le rate dei mutui erogati a prenditori a basso rating, e che per questo garantivano rendimenti particolarmente convenienti, non vennero più onorate, causando un default catastrofico.

La Grande Crisi Finanziaria americana si ripercosse su tutte le economie europee: non solo sulle banche dei Paesi che avevano investito in mutui subprime americani, ma sui titoli di Stati dei Paesi periferici, i tanto vituperati PIIGS.
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