Se i tassi non salissero affatto rispetto ai livelli attuali, ci troveremmo nel paradosso di essere in una situazione di stagnazione o anche di contrazione del PIL reale, cioè in recessione, con una inflazione che taglieggia comunque i redditi, e con tassi di interesse che non remunerano il capitale investito:
una situazione in cui perdono tutti.
Ma con la libertà di movimento dei capitali, è difficile fermare i disinvestimenti e dunque le vendite dei titoli che rendono troppo poco: lo spread, che è misurato sul mercato secondario, salirebbe comunque. E quindi, al momento delle emissioni per il rinnovo del debito in scadenza, sarebbe gioco forza adeguarvisi.
Quale che sia la decisione della BCE in materia di tassi, le prospettive sono queste.
C'è una incognita, però:
se i costi del servizio del debito, e quindi i tassi di interesse, crescono in modo troppo rapido come è successo negli anni Ottanta, in questo caso i debiti pubblici crescono ad una velocità superiore anche a quella del PIL nominale, e quindi il rapporto debito/ PIL peggiora.
La situazione sfuggirebbe di mano rapidamente.
C'è un altro aspetto da considerare: poiché si tratta di
inflazione importata, come successe con la seconda crisi petrolifera degli anni Ottanta, una stretta monetaria non avrebbe altro effetto se non quello di
far piantare l'economia.
Questo è il dilemma per tutti: Commissione europea, BCE, governi, investitori.
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