Come già aveva constatato Ricardo ai suoi tempi, "
il lavoro si sposta dove il salario è più basso": niente di nuovo, dunque, salvo che alla visione pessimistica di costui continuava invece a prevalere quella di Smith che sosteneva invece la capacità degli
animal spirits del mercato di assicurare le migliori condizioni per tutti.
Si è sviluppata sia all'interno della Unione europea che a livello globale una
competizione mercantilistica, basata sulla capacità di produrre e vendere alle migliori condizioni possibili: le imprese hanno cominciato a chiudere i siti produttivi nei Paesi con alti costi fiscali e del lavoro per delocalizzare dove le condizioni fossero più convenienti.
Il tasso di crescita dei Paesi ha cominciato a diversificarsi: rallentavano dove c'erano i maggiori costi del lavoro e di protezione sociale; acceleravano dove erano inferiori.
Il fattore di crisi è stato determinato dall'orientamento all'export di questo processo di nuova industrializzazione: la produzione nei Paesi a più basso costo del lavoro, con i più bassi oneri fiscali e previdenziali e con le minori protezioni ambientali, è stata destinata a soddisfare la domanda dei consumatori dei Paesi a più alto reddito e con il più alto costo del lavoro. Mentre all'inizio i consumatori occidentali beneficiavano del minor prezzo delle merci importate, un po' alla volta lo svuotamento della capacità produttiva e reddituale ha messo in crisi la narrazione.
Il riequilibrio commerciale richiesto da Trump non si è realizzato e nuova la strategia "Built Back Better" che è stata lanciata dalla Amministrazione Biden è ancora tutta da definire. L'America è in mezzo al guado, ma soprattutto di fronte ad un keynesismo di risulta, come quello sotteso dalla NGUE.
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