Bisogna fare un po' di chiarezza sull'assetto delle politiche attive per il lavoro, sulla contrattazione collettiva, sui livelli salariali dei lavoratori, precari e non, sugli interventi assistenziali pubblici.
Il
mercato del lavoro si è fortemente polarizzato, che può essere rappresentato come una piramide che ha una base amplissima ed un vertice altissimo, ma fra uno scalino e l'altro della gerarchia, il lavoro si riduce in modo esponenziale.
In alto, al livello retributivo e sociale più elevato, ci sono pochi lavori, apparentemente stabili, ma soggetti ad un burn-out tecnologico e generazionale violentissimo: basta vedere che cosa succede nel mondo bancario, assicurativo e nel settore delle professioni consulenziali. Le
innovazioni tecnologiche, incorporando capacità di elaborazione, di memoria e di interazione a distanza,
rendono obsoleti lavori in passato molto ben retribuiti. Per di più, le aziende cercano di
accelerare il turn-over generazionale, per risparmiare sulle retribuzioni ed acquisire lavoratori giovani, più disponibili a forme di flessibilità salariale sempre più legate alle performance di risultato. La parte fissa dello stipendio è sempre più magra, mentre si accresce la parte variabile che viene collegata per un verso ai risultati individuali, e per l'altro a quelli collettivi di reparto, di azienda e di gruppo.
Le carriere intermedie, quelle di concetto ed esecutive, sono state molto spesso assorbite verso l'alto:
al quadro si chiede di fare tutto da solo, senza nessun supporto segretariale. Ovviamente si scrive le lettere da solo, tanto sono e-mail redatte sul personal, se del caso le stampa direttamente, e naturalmente fa pure da archivista: il fascicolo ormai è virtuale.
C'è poi una
immensità di lavori privi di contenuto professionale specifico, per mansioni esecutive soprattutto nel settore dell'agricoltura, dell'edilizia e dei servizi. Sono lavori saltuari, precari e ad orario ridotto, che vengono offerti da personale altamente fungibile: oggi c'è una persona, domani un'altra, dopodomani chissà.
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