L'aumento straordinario delle risorse proprie, per l'ammontare dello 0,6% del PIL dell'Unione, è finalizzato anche al rimborso anticipato al mercato dei 360 miliardi di loan previsti nel RRF. A garanzia dei prestatori di capitale, questo aumento viene previsto fino al 2048, anno in cui si presume che saranno stati completati tutti i rimborsi da parte degli Stati beneficiari dei prestiti.
Non ci sono i dati relativi alla disaggregazione del RRF tra i diversi Stati dell'Unione: c'è scritto solo che la allocazione avverrà sulla base dei parametri proposti dalla Commissione e che di regola la quota di loan non deve superare i 6,8% del PIL di ciascun Paese.
Per l'Italia, al momento, i conti non tornano: girano solo chiacchiere, perché non c'è neppure una parola o una cifra che ci riguarda.
Vediamo da dove eravamo partiti.
Nel Progetto di Recovery Fund predisposto dalla Commissione (750 miliardi, di cui 250 per loan e 500 miliardi per grant) si prevedevano erogazioni complessive a favore dell'Italia per 153 miliardi (di cui 81,8 miliardi per grant e 71,2 per loan), pari al 20,4% del totale da distribuire tra tutti i Paesi, pur a fronte di un contributo italiano di 96,3 miliardi al finanziamento del Fondo, pari al 12,4% del totale del Fondo, commisurato al peso del nostro PIL sul totale di quello della Unione. Ci sarebbe stato un "vantaggio netto" di 56,7 miliardi, corrispondenti alla differenza tra contributi per 96,3 miliardi ed erogazioni per 153 miliardi.
Se ora il
RRF è di soli 672,5 miliardi (e non più di 750 miliardi), continuando ad applicare all'Italia la aliquota favorevole del 20,4% nella ripartizione delle risorse, le erogazioni complessive scenderebbero a 137,2 miliardi (in luogo dei 153 miliardi ipotizzati con il Recovery Fund). Considerando che come regola generale viene indicata una percentuale di loan non eccedente il 6,8% del PIL di ciascun Paese, l'Italia potrebbe vedersi erogare prestiti per 121 miliardi (somma pari al 6,8% del PIL del 2019).
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