Bisogna mettere insieme le tante tessere del mosaico che compone gli interessi americani: sono globali ed imperiali, ma ormai giunti al limite della resistenza interna ed esterna.
Le partite politiche e militari sono molteplici.
L'incontro ad Hanoi tra Donald Trump e Kim Jong-un verifica la possibilità di chiudere le trattative che sanciscono il disarmo nucleare della Corea del nord: si dovrebbe chiudere una situazione di conflitto latente che era stata tenuta volutamente in stallo per oltre sessanta anni.
La sede dell'incontro,
la capitale del Vietnam, è evocativa di un'altra guerra dolorosissima per gli Usa, conclusa con una ritirata dopo il fallimento di anni di bombardamenti aerei, mentre i Viet-cong impantanavano i militari americani nelle risaie. Erano due conflitti gemelli, quelli nelle due penisole cinesi, Corea e Vietnam, residuo del vano tentativo di contenere la rivoluzione comunista guidata da Mao, che aveva sconfitto l'alleato americano, il generale Ciang Kai shek.
La
minaccia di una aggressione nucleare a danno della Corea del Sud e del Giappone consentiva agli Usa di tenere aperto il suo ombrello militare in quello scacchiere a nord della Cina. Questa, a sua volta, strumentalizzava il conflitto per tenere sotto scacco Seoul e Tokyo. E' stata una sorta di bis della Guerra fredda, giocata con la minaccia di una mutua distruzione, che ormai stava pericolosamente lambendo anche la sicurezza americana, a mano a mano che la Corea del nord sviluppava missili armati di ordigni nucleari capaci di raggiungere le coste americane bagnate dall'Oceano Pacifico.
Il realismo ha prevalso, ormai si stava giocando col fuoco: per questo Donald Trump ha giocato alla sua maniera, minacciando pesantemente un attacco militare che avrebbe distrutto la Corea del Nord.
Il conflitto vero è tra Usa e Cina, è strategico: economico, finanziario e politico, va giocato sul piano globale. Il conflitto con la Corea del Nord, strumentale, è un residuo del passato: completamente inutile, anche per il Presidente Kim Jong-un.
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