La risposta dei BRICS Seguirono immediatamente gli accordi tra i Paesi aderenti al Gruppo dei
BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), Paesi capaci di rappresentare dal punto di vista della popolazione e delle integrazioni delle rispettive capacità produttive un polo alternativo a quello della globalizzazione guidata dall'Occidente, ed in cui la Cina aveva trovato uno spazio eccezionalmente favorevole.
Nei
Brics vivono 2,8 miliardi di persone, pari al 40% della popolazione mondiale: ma se ora producono già il 25% del prodotto globale, rappresentano in prospettiva una quota assai più grande per le potenzialità di crescita economica. Sono il mercato del futuro. La complementarietà è chiara: la
Russia ha materie prime e prodotti energetici; la
Cina ha terre poco fertili ma rappresenta la più grande fabbrica del mondo con circa 1,4 miliardi di persone disponibili a lavorare e pronte a consumare; il
Brasile è un altro gigante continentale, che ha una terra fertilissima in grado di produrre derrate alimentari in quantità eccezionali; l'
India, a sua volta, è già l'ufficio del mondo avendo una amplissima fascia di popolazione assai ben istruita nella gran parte delle discipline tecniche, con milioni di ingegneri che parlano correntemente l'inglese; il
Sud Africa, infine, ha risorse minerarie non secondarie.
Donald Trump e la guerra commerciale alla CinaChiunque abbia seguito la campagna elettorale americana ricorderà nettamente la
idiosincrasia assoluta dimostrata già allora dal candidato Trump nei confronti della Cina. Seguiva a menadito l'impostazione di Peter Navarro, un economista americano conosciuto soprattutto per i libri in cui prevedeva un conflitto mortale tra Pechino a Washington.
America First è slogan di Trump: riguarda per un verso il riequilibrio commerciale e per l'altro la necessità di evitare che si realizzi l'obiettivo del programma “Made in China 2025”, che ha l'ambizione di far diventare Pechino il Paese più avanzato al mondo nelle nuove tecnologie, ivi compresa l'intelligenza artificiale.
Guerra dei dazi: ad ogni botta, due risposteL'aumento dei
dazi americani, volto a rendere più care le importazioni di merci cinesi, è stato lanciato in fasi successive, secondo una logica di escalation che avrebbe dovuto portare Pechino ad accogliere una serie di richieste di Washington, quali la apertura completa del mercato interno con la eliminazione della clausola di condivisione del know-how come condizione posta agli stranieri che vogliono produrre in Cina.
Ad ogni botta americana, in termini di nuovi dazi, la risposta cinese è stata duplice, ed asimmetrica: mentre da una parte ha cercato di colpire l'import americano gravandolo a sua volta di pesanti dazi, come nel caso della soia e del GNL (gas naturale liquefatto), dall'altro ha contemporaneamente diminuito i dazi sull'import proveniente da altri Paesi concorrenti degli Usa.
In questa maniera, Pechino conta di spostare il baricentro dei suoi mercati, sia di approvvigionamento che di sbocco: i Paesi produttori di generi alimentari o di prodotti energetici, come Argentina ed Australia, vengono ampiamente favoriti rispetto agli Usa; i Paesi manifatturieri in cerca di sbocco per le proprie merci, come quelli europei, riempiono lo spazio lasciato vuoto in Cina dall'aumento dei dazi sull'import dagli Usa.
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