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"La fotografia è un’esperienza di consapevolezza": Veronica Gaido e l’arte di rispettare il tempo

Con "Fluire l’infinito", Gaido continua la sua ricerca visiva e interiore: "la mia vita e la mia arte sospese tra memoria e futuro"

Cultura, Economia
"La fotografia è un’esperienza di consapevolezza": Veronica Gaido e l’arte di rispettare il tempo
(Teleborsa) - L’acqua scorre, il tempo si dissolve, le immagini si trasformano nell’estetica visiva di Veronica Gaido che - dopo aver portato il suo sguardo da New York al Marocco, Londra e Parigi - torna nella sua Versilia con un’esperienza immersiva che unisce fotografia, installazione e nuove tecnologie. Dal 19 aprile al 25 maggio 2025, la fotografa che in 30 anni di carriera si è confrontata con la fotografia in molteplici delle sue sfaccettature - dalla pubblicità al ritratto - porta al Fortino Leopoldo I di Forte dei Marmi "Fluire l’infinito", una mostra curata da Beatrice Audrito che rappresenta un viaggio tra luce, corpi e movimento. Attraverso oltre 25 opere e l’uso evocativo della lunga esposizione, l’artista esplora il legame profondo tra l’uomo e la natura, tra il mare e la memoria, declinando il concetto di cambiamento con eleganza, intelligenza e spessore.

Prima di addentrarci concettualmente nella mostra che si tiene fino al 25 maggio al Fortino Leopoldo I, dal titolo “Fluire l’infinito”, partiamo da una considerazione che racchiuda 30 anni di carriera, tante esperienze, mostre e successi: chi è in questo momento Veronica Gaido?

Oggi Veronica Gaido è una donna che ha imparato a lasciarsi attraversare dalle esperienze, dai luoghi e dalle persone, consapevole che la vera bellezza risiede nell'accogliere la fragilità e l'imperfezione della vita. Tutto ciò che ho vissuto, i dolori attraversati, le esperienze belle e difficili, ma soprattutto la gioia immensa di vedere crescere mia figlia, sono stati fondamentali nel formarmi come artista e come persona.

Mi sento più libera, autentica e certamente più consapevole rispetto al passato. Dopo trent’anni di carriera, sono pronta a esplorare ancora nuove dimensioni visive e concettuali. Oggi capisco che ogni opera che creo è innanzitutto un frammento del mio percorso umano. Così sento la mia vita e la mia arte, sempre in divenire, sospese tra memoria e futuro.

"Fluire l’infinito" sembra essere un invito alla contemplazione, a rallentare e a osservare la trasformazione del mondo con occhi diversi. Crede che la fotografia possa insegnarci a vivere il tempo in un modo più consapevole?

Assolutamente sì. Credo che la fotografia, soprattutto se praticata come esercizio meditativo e contemplativo, possa aiutarci a percepire il tempo con maggiore consapevolezza. La tecnica della lunga esposizione, per esempio, non solo mi permette di catturare il movimento del tempo, ma diventa una vera e propria esperienza di consapevolezza. Fermarsi, attendere, osservare: la fotografia insegna proprio a vivere e rispettare il tempo, non più come rincorsa affannosa, ma come esperienza profonda di ogni attimo. In generale, ritengo che la fotografia, in tutte le sue forme, abbia anche un valore profondamente curativo: è quasi una terapia psicologica, un modo per entrare in contatto con se stessi, elaborare le proprie emozioni e trasformare ciò che viviamo in qualcosa di visibile, di comprensibile e, soprattutto, di condivisibile.

Le sue immagini sembrano quasi sospese tra realtà e sogno, tra concretezza e dissolvenza. C’è un momento o un’esperienza della sua vita che ha segnato questa particolare visione del mondo e del tempo?

Ci sono due momenti fondamentali nella mia vita che hanno influenzato profondamente questa visione. Il primo è stato nel 2008: dopo aver realizzato moltissime campagne pubblicitarie lavorando sempre in team e ascoltando le esigenze della committenza, ho sentito improvvisamente il bisogno profondo di sperimentare, di creare qualcosa di mio, un progetto personale che mi permettesse di esplorare liberamente nuove dimensioni espressive e concettuali.

Il secondo momento determinante è stato il mio primo viaggio in India, molti anni fa. Immersa in una realtà così complessa, stratificata e diversa dalla mia, ho compreso che la vita stessa è fatta di sovrapposizioni, di memorie che lentamente si dissolvono e si trasformano continuamente. Da quel viaggio, l'immagine è diventata per me una traccia emotiva, una presenza delicata che svanisce lentamente, restando da allora al centro della mia ricerca visiva e filosofica.

L’acqua è una presenza importantissima soprattutto nel suo lavoro, sia come elemento fisico che come metafora. Ricordiamo che questo elemento è stato indagato – tra gli altri – dal filosofo francese Gaston Bachelard o dalla scrittrice Virginia Woolf. Se dovesse descrivere il suo rapporto personale con l’acqua, come lo racconterebbe, cosa rappresenta? E in che modo questa connessione influenza la sua fotografia?

L'acqua è sempre stata una presenza fondamentale nella mia vita, nel mio immaginario. Fin da bambina rappresentava il mio rifugio segreto, il mare mi accoglieva senza giudizio quando avevo bisogno di condividere gioie e dolori. È l’elemento che da sempre ammiro di più, proprio per la sua dualità straordinaria: è delicata e rassicurante quanto potente e distruttiva. Mi sono sempre curata con l’acqua: per me fare un bagno o semplicemente una doccia è un rituale profondo, un gesto che porta via tutte le negatività, una pulizia simbolica dell’anima e del cuore.

Amo ricordare una frase di Gaston Bachelard che uso spesso: «Il corpo è un’onda in movimento, la materia un respiro sospeso, la trascendenza il mare che ci chiama oltre il visibile». Credo profondamente in questo pensiero, perché rispecchia esattamente ciò che provo e ciò che cerco di esprimere attraverso le mie fotografie. Questa natura ambivalente e curativa dell’acqua si riflette direttamente nella mia arte, guidandomi nel catturare il suo movimento continuo, la sua essenza immutabile eppure sempre diversa, che diventa metafora perfetta della vita stessa e delle sue infinite trasformazioni.

Molti dei suoi progetti raccontano luoghi e città, da Essaouira a New York, da Pietrasanta a Venezia. Quando fotografa un ambiente, che sia una grande metropoli o un paesino medio- piccolo, cosa cattura la sua attenzione per prima? Sono le persone, la luce, l’architettura, l’atmosfera o qualcosa di più impalpabile?

La prima cosa che cattura sempre la mia attenzione è la luce. Mi colpisce profondamente come la luce disegni ogni superficie, come si rifletta da un edificio all’altro, creando infinite possibilità visive ed emotive. È un gioco continuo, mutevole, che trasforma gli ambienti davanti ai miei occhi. Subito dopo, però, arriva qualcosa di più impalpabile: una vibrazione emotiva, una sensazione invisibile che il luogo mi trasmette e che va oltre l’estetica o l’architettura.

Ad esempio, con Venezia, città che amo profondamente e frequento spesso, ho avuto una lunga e complessa esperienza. Ho iniziato a fotografarla già nel 2010, ma non riuscivo mai a catturarla esattamente come la immaginavo. Così ho iniziato a studiare le opere del pittore Turner, quella luce, quell'atmosfera quasi magica che riusciva a evocare, e improvvisamente le immagini hanno iniziato a emergere quasi da sole, rivelando lentamente l’essenza profonda della città.

Lo stesso mi è accaduto in Australia: nella mia mente ero partita con l’idea di catturare una luce calda, dominante. E invece, una volta sul luogo, le immagini sono diventate completamente nere, quasi delle rayografie, assolutamente diverse da come le avevo immaginate inizialmente. È sempre così: parto con un'idea, poi mi lascio sorprendere da ciò che il luogo vuole realmente mostrarmi.

Nel suo percorso artistico in "Fluire l’infinito" ha unito fotografia, installazione e nuove tecnologie, esplorando sempre nuovi linguaggi. C’è una tecnica o un mezzo espressivo che non ha ancora sperimentato e che vorrebbe approfondire in futuro?

Io sperimento continuamente: macchine fotografiche differenti, droni, carte particolari o materiali innovativi su cui stampare. Mi piace esplorare sempre nuovi territori, nuove tecniche, e non smetto mai di cercare qualcosa che possa arricchire il mio percorso creativo. In futuro mi piacerebbe anche provare la performance, perché sento il desiderio di coinvolgere ancora di più le persone nel mio lavoro, di portarle davvero dentro il mio processo creativo.

Devo ammettere, però, che ho paura, tanta paura di sbagliare. Alcune tecnologie, come la realtà aumentata o la realtà virtuale, per esempio, non le sento molto nelle mie corde. Forse perché mi percepisco come fragile, vulnerabile, e non mi piace correre dietro alle ultime novità soltanto perché sono nuove. La fotografia per me nasce prima di tutto dentro di me, nel mio cervello e nel mio cuore, e solo successivamente passa alla macchina fotografica. Tutto ciò con cui scatto, qualsiasi sia lo strumento, resta sempre e soltanto un mezzo, mai il fine.
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