(Teleborsa) - Secondo l’Eurostat, circa il 71% delle famiglie italiane possiede l’
abitazione in cui vive: un dato che, pur non raggiungendo i record dei Paesi dell’ex blocco sovietico, è nettamente superiore rispetto a quello di Francia (65%), Regno Unito (63%) e Germania (50%). Se, da un lato, la diffusione capillare della
proprietà immobiliare ha avuto effetti sociali positivi, dall’altro, il fatto che una casa possa essere, al tempo stesso, asset finanziario e bene tangibile con il quale creare un legame emozionale può indurre in confusione e molti italiani faticano ad applicare all’investimento immobiliare gli stessi parametri razionali che si utilizzano per altri tipi di investimenti.
Ad oggi il mattone resta l
’investimento preferito dalle famiglie, tanto da rappresentare quasi la metà della loro ricchezza lorda complessiva, con il 69% degli italiani che considera l’immobiliare un investimento "sempre sicuro". Ciononostante, se si analizzano da vicino i dati, si osserva come negli ultimi dieci anni, ad eccezione di alcune grandi città o località turistiche, i valori delle abitazioni non abbiano tenuto il passo con l’
inflazione: un immobile acquistato nel 2013 per 1 milione di euro varrebbe oggi mediamente 1,08 milioni (+8%), laddove per conservare lo stesso potere d’acquisto sarebbe stato necessario un incremento del +23% circa. In termini reali, dunque, la proprietà immobiliare media avrebbe perso il 15% di valore in dieci anni, mentre, investendo in uno dei principali indici azionari globali, il capitale sarebbe raddoppiato.
Per quanto riguarda gli
immobili da reddito, uno studio di Idealista mostra come nelle grandi città come
Roma o
Milano il loro rendimento sia leggermente inferiore rispetto alla media nazionale, per via dei costi d’acquisto più elevati, con rendimenti lordi annui intorno al 5-6%.
Nei
centri più piccoli la
redditività migliora, ma trovare inquilini affidabili è più complicato, i periodi sfitti sono più lunghi e le possibilità di rivalutazione del capitale ridotte. Senza considerare la presenza di “
costi nascosti” come spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, spese condominiali, assicurazioni e imposte (come l’IMU sulle seconde case o la “cedolare secca” per i redditi da locazione), che riducono ulteriormente la redditività reale.
Naturalmente, questo non significa che comprare casa sia sempre una scelta sbagliata, ma prima di investire in immobili occorre analizzare la
composizione del proprio
patrimonio, magari con l’aiuto di un consulente finanziario, e valutare se il proprio portafoglio sia eventualmente già sbilanciato verso il mattone.
Un discorso a parte lo merita l’acquisto della
prima casa, che, più che un investimento, si configura come un vero e proprio obiettivo di investimento, spesso sostenuto da esigenze e considerazioni che vanno oltre la sfera meramente finanziaria. Come “asset”, poi, la prima casa offre senza dubbio alcuni vantaggi: per molti rappresenta l’unica opportunità di fare debito e accelerare la costruzione del proprio patrimonio, sostituendo gradualmente la spesa dell’affitto (detratti gli interessi del mutuo) con l’accumulo di capitale in un bene di utilità diretta (la casa in cui si vive).
Il
valore medio di un
mutuo si aggira tra i 130.000 e i 180.000 euro, con un anticipo medio versato intorno ai 40.000 euro. Una cifra che può essere tranquillamente messa da parte grazie a un investimento mensile di poche centinaia di euro, a patto di cominciare a muoversi nei tempi e con gli strumenti giusti. Spesso, però, la decisione di comprare casa arriva in una fase della vita in cui non si è ancora avuta la possibilità o la consapevolezza necessaria per pianificare adeguatamente e così si tendono a stipulare mutui di importo molto elevato. Con la fine dell’era dei
tassi ultrabassi, per ottenere il
finanziamento più facilmente, ridurre la
rata mensile e conservare comunque una capacità di risparmio da destinare ad altri obiettivi, cominciare a risparmiare per tempo sarà ancora più importante.
Da considerare anche i diversi
incentivi disponibili per chi acquista la prima casa: esenzione dall’IMU, imposta di registro ridotta al 2% e imposte ipotecarie e catastali fisse in misura minima. Sul
fronte fiscale, l’acquirente può detrarre gli interessi passivi del mutuo (al 19% e con un tetto annuo) dalla dichiarazione dei redditi, riducendo il costo effettivo del finanziamento, mentre chi acquista tramite agenzia può detrarre dall’Irpef il 19% delle spese di intermediazione (fino a un massimo di 1.000 euro).
Da valutare anche il
Fondo di Garanzia per i mutui prima casa, gestito da
Consap: la Legge di Bilancio 2025 ha prorogato fino al 2027 la possibilità per categorie prioritarie (under 36, giovani coppie, nuclei monogenitoriali con figli, assegnatari di case popolari, famiglie numerose), di accedere in via prioritaria a una garanzia statale fino all’80% del mutuo per importi fino a 250.000 euro. Per questo tipo di mutui è previsto un tetto al TAN, vincolato al TEGM medio di mercato, che riduce i costi di finanziamento.
In conclusione,
incentivi e
aiuti agevolano l’acquisto della prima casa, ma l’elemento chiave resta la
pianificazione finanziaria: un piano d’accumulo ben strutturato permette di costruire gradualmente il capitale necessario al versamento dell’anticipo, rendendo l’obiettivo più accessibile anche a chi teme di non avere risorse sufficienti. Un
portafoglio efficiente e diversificato consente non solo di far crescere il proprio patrimonio nel tempo, ma anche di bilanciare il rischio e ridurre la dipendenza dal solo mercato immobiliare. In un contesto in cui oltre il 55% della ricchezza lorda delle famiglie italiane è concentrata in attività non finanziarie – il 46% in abitazioni – diversificare il proprio portafoglio con un PAC rappresenta un’opportunità strategica per raggiungere il traguardo “casa” senza rinunciare alla solidità e alla flessibilità finanziaria.
(Foto: Tierra Mallorca on Unsplash)