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La riforma del premierato che fine ha fatto?

Economia, Politica
La riforma del premierato che fine ha fatto?
(Teleborsa) - Nei mesi scorsi si è parlato molto della riforma del Premierato, poi scomparsa dalla cronaca quotidiana per sei mesi, dopo che il 18 giugno scorso, il Ddl di riforma costituzionale sul "premierato", presentato dal governo Meloni a novembre 2023, ha ricevuto il primo sì al Senato. Da allora è calata una cortina di silenzio durata mesi e rotta solo qualche giorno fa dalla Premier Giorgia Meloni che, partecipando ad Atreju, ha affermato che la riforma del premierato dovrebbe finalmente uscire dal "congelatore".

L'avvocato Cassazionista Claudio Vinci, commentando il ritorno in auge del Ddl di riforma costituzionale, ricorda che la principale novità è quella che incide sull’articolo 92 della Costituzione. La norma prevede attualmente la nomina del Presidente del Consiglio e del Consiglio dei Ministri, da parte del Presidente della Repubblica, mentre il nuovo testo stabilisce che il Premier sarebbe eletto a suffragio universale e diretto per un mandato di cinque anni per non più di due legislature consecutive. L’elezione del Presidente del Consiglio avverrebbe contestualmente alle elezioni di Camera e Senato, con elezione nella Camera dove ha presentato la candidatura. Il Premier sarebbe dunque un parlamentare e non un tecnico, come accaduto talvolta nella recente storia della Repubblica.

Una specifica legge elettorale, da varare in caso di approvazione della riforma, dovrebbe poi assegnare ai partiti che sostengono il Presidente del Consiglio eletto un numero di seggi sufficiente per avere la maggioranza in Parlamento (c.d. premio di maggioranza). Il Presidente della Repubblica - spiega ancora Vinci - non nominerebbe più il Premier, ma gli conferirebbe l’incarico di formare il governo, nominando e revocando i Ministri su sua proposta.

Il testo all’esame del Parlamento - sottolinea Vinci- modifica poi l’articolo 94 della Costituzione: il Governo entro dieci giorni dalla sua formazione, dovrà ottenere la fiducia della Camera e del Senato; in caso negativo, il Presidente della Repubblica darebbe un nuovo incarico al Presidente del Consiglio eletto dai cittadini, per formare un governo e nel caso in cui anche questo secondo tentativo non ottenesse la fiducia di entrambe le Camere, il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere il Parlamento e si tornerebbe al voto. Si potrebbe tornare al voto anche nel caso in cui Camera o Senato revocassero la fiducia al Presidente del Consiglio eletto. Se invece fosse il Premier a dare le dimissioni, egli potrebbe chiedere al Presidente della Repubblica, entro sette giorni, di sciogliere il Parlamento e andare al voto. In alternativa il Presidente della Repubblica potrebbe incaricare il Premier dimissionario di formare un nuovo governo, o dare l’incarico ad un altro parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio.

Le previsioni normative - spiega l'Avvocato - sono strutturate, quindi, nel tentativo di evitare i c.d. ribaltoni: ovvero quei casi in cui nella stessa legislatura i governi siano supportati da maggioranze molto diverse tra loro. La riforma del premierato, così come congegnata, non fa che adeguare, quindi, la c.d. costituzione materiale a quella formale del nostro paese. Sono ormai lontani i tempi della prima Repubblica in cui i Governi ed i Presidenti del Consiglio duravano qualche settimana. Da anni ormai la tendenza espressa, dalla base elettorale, è quella di "scegliere" un premier indicato dalle coalizioni di partiti che si presentano alle elezioni, con governi che sono adesso molto più stabili. E ciò è avvenuto a Costituzione formale invariata. Tuttavia è spesso capitato, anche nel recente passato, che il premier "scelto" dagli elettori con il voto espresso ad una coalizione, venisse poi sostituito in corsa, con l’appoggio anche di partiti diversi da quelli che hanno vinto le elezioni, così, in qualche modo, tradendo quella che era stata la volontà popolare uscita dalle urne. cCon la riforma costituzionale del premierato ciò non sarà più possibile.

Secondo l'Avvocato Vinci, tuttavia, il percorso verso l’approvazione definitiva è, tuttavia, ancora lungo e pieno d’insidie e prevede l’esame alla Camera, prima nelle commissioni parlamentari e poi in aula, dove potrebbe essere modificato, e a distanza di tre mesi da ciascuna delle due approvazioni di Senato e Camera, una nuova approvazione di entrambe le Camere del testo con lo stesso contenuto. Nella seconda votazione il testo deve essere approvato a maggioranza di 2/3 dei componenti, altrimenti, potrà essere sottoposto a referendum degli elettori.

Si tratta, in conclusione, di una riforma che, laddove approvata - conclude Vinci - potrebbe contribuire ulteriormente alla stabilità del governo nazionale, attribuendo un ruolo preminente alla figura del premier, che verrebbe scelto direttamente dagli elettori e non potrebbe essere sostituito se non attraverso nuove elezioni. Più che una riforma che indirizzerebbe l’Italia verso una deriva autoritaria, come talvolta si sente dire, è una riforma che rafforza il legame tra l’esito del voto popolare e il premier eletto democraticamente.
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