(Teleborsa) -
Nel 2023 sono stati celebrati in Italia 184.207 matrimoni, il 2,6% in meno rispetto al 2022. I matrimoni religiosi presentano un calo consistente rispetto all’anno precedente (-8,2%), accentuando una tendenza alla diminuzione già in atto da tempo. Lo rileva un report Istat sottolineando che sono state celebrate 29.732 nozze con almeno uno sposo straniero (il 16,1% del totale dei matrimoni), stabili rispetto al 2022. Nei primi otto mesi del 2024 i
dati provvisori indicano una nuova diminuzione dei matrimoni (-6,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023.Nel dettaglio:
nel 2023 i matrimoni sono stati 184.207, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6%); il calo è stato più consistente nel Mezzogiorno (-5,8%) rispetto al Nord (-0,3%), in posizione intermedia il Centro (-1,3%).
Nello stesso anno,
il 58,9% dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (56,4%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato nel periodo pre-pandemico (52,6% nel 2019). La quota particolarmente elevata di matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1%) ha costituito quindi un’eccezione, determinata dalle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso.
Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo spesso una scelta obbligata , e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (91,2% contro 52,7% dei matrimoni di sposi entrambi italiani).
Il report rileva anche che l'Italia esercita una forte attrazione per numerosi cittadini residenti all’estero, soprattutto in paesi a sviluppo economico avanzato, che scelgono il Bel Paese come luogo di celebrazione delle nozze. Nel 2023 si rilevano 3.337 nozze tra sposi entrambi stranieri e non residenti, quasi il 2% di tutti i matrimoni. A partire dal 2020 questa tipologia di nozze (coppie di entrambi stranieri e non residenti) aveva subito una consistente flessione a causa delle restrizioni imposte alla mobilità internazionale, passando dai 4.094 del 2019 ai 918 del 2020 (-77,6%); nel 2021 si è avviata una fase di ripresa (1.574) consolidatasi negli anni successivi.
Il mutamento nei modelli culturali - si legge ancora - nonché l’effetto di molteplici fattori quali l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso hanno comportato, negli anni, una progressiva posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia di origine. La
quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è pari al 61,2%, quasi tre punti percentuali in più in circa 20 anni.