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Lavoro, Ocse: laureate italiane guadagnano la metà dei colleghi maschi

I risultati del rapporto Ocse Education at a Glance 2024. Nel nostro Paese il più grande divario di genere nell'area Ocse. In calo i Neet

Economia, Scuola
Lavoro, Ocse: laureate italiane guadagnano la metà dei colleghi maschi
(Teleborsa) - In Italia, le giovani donne con una laurea guadagnano in media il 58% del salario dei loro coetanei maschi, che rappresenta il più grande divario retributivo di genere nell'area OCSE. E le giovani con la scuola secondaria superiore o l'istruzione post-secondaria non terziaria guadagnano l'85% dei loro coetanei maschi. È quanto emerge dal Rapporto Ocse Education at a Glance 2024 dal quale si rileva anche che il nostro paese spende il 4% del suo prodotto interno lordo (PIL) per l'istruzione contro una media OCSE pari al 4,9%.

Secondo quasi tutti i parametri disponibili, risulta che le ragazze e le donne ottengono risultati scolastici migliori rispetto ai maschi e in molti casi il divario si sta ampliando. E anche se le donne superano chiaramente i ragazzi e gli uomini nell'istruzione, il quadro è invertito quando entrano nel mercato del lavoro. Le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni hanno meno probabilità di essere occupate rispetto agli uomini; il divario è generalmente più ampio per coloro che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, più ristretto per coloro che hanno conseguito un titolo terziario. In Italia solo il 36% delle giovani donne che ha un titolo di studio conseguito al di sotto del livello di istruzione secondaria superiore, viene occupato, mentre la quota corrispondente per i giovani è del 72% (le corrispondenti medie OCSE sono del 47% e del 72%).

Luci e ombre anche sui Neet. In Italia, la quota media dei giovani tra i 20 e i 24 anni che non hanno un lavoro, né frequentano un corso di istruzione formazione è diminuita dal 32% al 21% tra il 2016 e il 2023. Tuttavia, mentre le differenze di genere sono relativamente piccole per i giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni, il tasso di Net è più elevato per i giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni con il 31% delle donne che non studiano e non lavorano contro il 20% degli uomini. La percentuale di giovani tra i 25 ei 34 anni senza titolo di studio secondario superiore nel nostro paese è diminuita del 6 punti percentuali dal 2016 e ha raggiunto il 20% nel 2023, ma rimane comunque al di sopra dell'OCSE (la media è del 14%).

L'istruzione dei genitori ha un forte impatto sul rendimento scolastico dei figli. In Italia il 69% dei 25-64 anni che hanno almeno un genitore con un titolo terziario, ovvero una laurea – spiega il rapporto Ocse – ha conseguito anche lui la laurea o un titolo equivalente (media OCSE è del 72%). Al contrario, solo il 52% di coloro che hanno almeno un genitore con livello secondario superiore o post-secondario non terziario e il 10% di quelli con genitori senza un titolo di scuola secondaria superiore hanno conseguito essi stessi una laurea. All'estremo opposto, il 37% degli adulti i cui genitori non hanno un titolo di scuola superiore non sono riusciti ad ottenere la maturità (la media OCSE si ferma al 16%).

"Nel nostro Paese il 20% (la media OCSE è al 14%) dei giovani fra i 25 e i 34 anni non completa il ciclo di istruzione secondaria di secondo grado. Ciò comporta grosse conseguenze sull'occupazione in questa fascia d'età; infatti, solo il 57% dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69% dei diplomati. Inoltre, il 27% della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio" rileva è la Flc Cgil commentando il rapporto Ocse Education at a Glance 2024. "Rispetto ai bisogni formativi dei giovani – ribadisce la Flc Cgil – sarebbe essenziale elevare l'obbligo di istruzione almeno a 18 anni. Invece, a fronte della necessità di innalzare la qualità e la durata dell'istruzione almeno al diploma di scuola secondaria di secondo grado, il ministro Valditara si fregia di una riforma, la filiera tecnologico-professionale, che prevede – osserva il sindacato – l'abbassamento del percorso secondario a quattro anni e la sostanziale equiparazione tra scuola e addestramento (apprendistato, formazione professionale) per accedere agli ITS. La scarsa attenzione alla qualità della scuola, da anni privata delle ore di laboratorio, di compresenze e di personale docente e ATA, viene assolutamente confermata dal rapporto. Secondo l'OCSE, l'Italia è sotto la media per quanto riguarda la spesa pubblica per l'istruzione (4% del Pil rispetto al 4,9% dei Paesi OCSE) ma anche per il rapporto studenti-insegnanti, fissato a 11 a 1 per la scuola primaria e di 10 a 1 per l'istruzione di secondo grado. La politica dei tagli è rappresentata anche dai ridotti numeri di assunzioni che arrivano dopo molti anni di precariato, tanto che l'anagrafica dei docenti italiani è sensibilmente più alta rispetto a quella degli altri membri OCSE: il 53% del corpo docente infatti ha più di 50 anni, contro il 37% nella media dell'area OCSE. Così, mentre i Paesi OCSE sono impegnati ad innalzare la percentuale di istruzione della popolazione, il ministro Valditara si affanna a ideare riforme come i quadriennali della Filiera tecnologico-professionale o come il Liceo del made in Italy, che aumentano le ore di alternanza scuola-lavoro e diminuiscono la formazione generale per accelerare un rapido affaccio al mondo del lavoro che, alla fine, danneggia il reddito e il futuro dei giovani e impoverisce il tessuto produttivo del Paese".

"Ricordo alla Cgil, – ha risposto in una nota il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara – che come al solito non perde occasione per fare polemiche strumentali, che finire a 18 anni il percorso scolastico, in conformità all'auspicio del rapporto Ocse, è coerente con una formazione tecnico professionale superiore quadriennale, quale quella prevista dalla nostra riforma del 4+2. Come del resto avviene in tutti i principali Paesi europei. Dimentica, inoltre, la Cgil, che uno dei pilastri della riforma del 4+2 è il potenziamento di italiano, matematica e inglese, che sono le materie dove si manifestano oggi i gap formativi rispetto ai licei. Infine, sottace la Cgil che, secondo la migliore pedagogia, non è la quantità bensì la qualità di ciò che si studia a fare la differenza. Indietro non si torna".




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